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Guerre Stellari tra fantasy e sci-fi

di Davide Siccardi


     La fantascienza, ma sarebbe il caso di dire tutto il fantastico di genere, vive anche di contrapposizioni e contrasti.
      Si sprecano, ad esempio, le polemiche tra i più accesi sostenitori di Guerre Stellari e quelli di Star Trek (quando, invece, le due serie -televisive, cinematografiche, videoludiche, letterarie, fumettistiche...- hanno nella loro storia molti momenti di “contatto”: a partire, direi, dalla produzione di parte degli effetti speciali del secondo film di Star Trek), ma non mancano anche diatribe “interne” ai sotto generi ed ai “sotto gruppi”.
      Una polemica che non accenna a scomparire è quella relativa alla natura del ciclo di George Lucas: in soldoni “Star Wars è fantasy o science fiction?”.
     
      Secondo alcuni non ha neppure senso porsi la domanda, dato che o il fantasy comprenderebbe la sci-fi o sarebbe la fantascienza ad avere nel fantasy una sua ramificazione.
      Secondo altri è evidente il peso della componente tecnologica nella saga, e tutti quei personaggi robotici o “contaminati”, positivi e negativi, definirebbero inequivocabilmente la saga come fantascientifica.
      Altri ancora ritengono che quelle paroline ormai entrate nell’immaginario collettivo “C’era una volta in una galassia lontana, lontana...” proprio non possano essere sottovalutate.
      Insomma, la questione scalda gli animi degli appassionati, e non è difficile capirne il motivo: una diversa definizione della saga può sottintendere una diversa maniera di giudicarne i tanti elementi.
     
      Dunque fantasy perché anti tecnologica, anti razionalista, mistica oppure fantascientifica perché tecnologica, space operistica, razionale?
      Ma siamo sicuri che tutti i film della saga debbano essere giudicati nella stessa maniera?
     
      Che il ciclo di Guerre Stellari faccia suoi spunti molteplici ed apparentemente contraddittori è un fatto: dalle storie western di cow-boy e fuorilegge alle vicende di pirati e bucanieri, dalle principesse in pericolo ai robot umanizzati, dai caccia stellari rugginosi alle sofisticate armate di droni e cloni.
      Si potrebbe continuare a lungo: il senso è che i film del ciclo nascono dalla rielaborazione -e talvolta dalla semplificazione- di molteplici modelli narrativi, eventi storici, suggestioni religiose eccetera.
      Ma in tutti i film i vari elementi sono “mixati” nella stessa maniera?
      E vi è, diversamente, un metodo nella diversa “gradazione” di questi elementi?
     
      Si è sempre fatta notare la “disumanizzazione” degli Jedi sottoposti ad innesti meccanici: addirittura in Episodio 2 ci viene mostrato un Anakin dotato di una vistosa protesi proprio nel momento più drammatico del film (quello del matrimonio segreto, che sancisce in un contesto di apparente “buonismo” il definitivo allontanamento del ragazzo dalla diritta via per la strada delle bugie e degli inganni), quando invece nel “successivo” Episodio 5 suo figlio Luke sfoggia un innesto decisamente meno appariscente.
      Anakin diverrà lord Casco Nero mentre Luke salverà l’universo intero -e lo spirito del papà- non facendosi tentare dalla brama di potere.
      D’altro canto, però, è pure vero che nella nuova trilogia è stata data una spiegazione “razionale” della forza: non più un forza mistica ma un rapporto simbiotico.
      Dunque?
      Proviamo ad analizzare lo sviluppo della trama partendo da Episodio 4, il vero “primo” film del ciclo.
      In Episodio 4, comunemente noto come “Guerre Stellari”, scopriamo che in una galassia lontana lontana (ma nello spazio o nel tempo?) un Impero malvagio ha sottomesso le pacifiche popolazioni precedentemente organizzate in qualcosa di simile ad una democrazia, dando vita ad una nuova era di oscurantismo e superstizioni.
      La via della forza è stata dimenticata, gli Jedi sono stati tutti -o quasi- uccisi nella “guerra dei quoti” (sig!), e la tecnologia “spiccia” e povera è l’unico strumento in mano ai comuni mortali per campare.
      In un contesto “futuristico” e “spaziale” strambi droidi di servizio sono grosso modo l’equivalente della staffa e del giogo in un’ambientazione di tipo fantastico-medievaleggiante.
      I “cattivi” paiono conciati con armature solo un po’ rivedute ed aggiornate (e, di fatto, nelle intenzioni originali tutti dovevano essere dotati di spade laser: situazione che, in parte, traspare dalla facilità con cui Luke impara a maneggiare l’arma) ed i “buoni” sono cow-boy della frontiera che si ribellano alle ingiustizie o pistoleri a cavallo dei loro cavalli-astronavi.
      Come a dire: i cattivi hanno vinto una guerra che non ci hanno mostrato, ed esercitano il loro potere anche con la disinformazione ed il controllo della tecnologia e del sapere.
      Non solo: si ha l’impressione che entrambe le parti siano state duramente provate nei mezzi e negli uomini, sebbene siano i cattivi, non a caso i vincitori, a detenere il primato “strutturale”.
      Le armate “oscure” sono le più tecnologicamente sviluppate, ed il cavaliere nero della situazione, il più potente di tutti gli Jedi (nonché l’ultimo, grosso modo, rimasto sulla piazza), è chiaramente un cyborg ambulante.
      Dunque la tecnologia come caratteristica negativa, alleata del male?
      Eppure due degli alleati di Luke sono droidi (ben più “umani” di molti altri personaggi), la Morte Nera viene distrutta grazie alla Forza ma pur sempre guidando un’astronave e dirigendo un missile, e le spade laser sono chiaramente un raffinato strumento di artigianato tecnologico (per altro retaggio di un rimpianto passato).
      Un bel problema, insomma.
      Ma solo considerando Guerre Stellari come film singolo e non come capitolo di una più vasta saga.
      Già semplicemente vedere Luke che guida il siluro là dove fa più male fa sorgere qualche sospetto: forse è nell’equilibrio tra tecnologia e mistico, tra ambizione e morale, tra forza e riflessione e pure tra sci-fi e fantasy che si trova il fondamento del film, il suo senso originale e dunque la sua “definizione”?
      La saga prosegue: termina la guerra tra Impero e ribelli e ci si avvia verso una nuova era di prosperità.
      Ma cosa è prosperità in Guerre Stellari?
      La massima gloria dell’universo lucasiano non ci viene mai mostrata, ma risalendo nel tempo fino agli anni che precedono la venuta dell’Impero, ci viene fatto vedere quanto più vi si avvicina: una società democratica, multi etnica, colta, che fa largo uso di tecnologia di estrema sofisticazione e che ritiene la conoscenza, scientifica, mistica e morale, di centrale importanza.
      Gli Jedi non sono considerati, come in Episodio 4, bizzarri adepti di una stramba, bislacca e bugiarda religione, ma sono trattati quasi alla stregua dei più potenti politici, non detentori di “verità assolute” ma esploratori del cosmo (basti pensare alla maniera di Yoda e Obi-Wan di accorgersi della mancanza del pianeta dei clonatori: la posizione dei pianeti circostanti suggerisce la presenza di Kamino e della sua forza di attrazione) e dei “cosmi interiori”.
      Non santoni alla maniera new age ma, semmai, maestri di filosofie razionali che non rifiutano conoscenze di tipo diverso da quelle religiose.
      Patatrac.
      Chi vede in Guerre Stellari lo strumento per demonizzare la scienza, la tecnologia, lo spirito fantascientifico comunque inteso, si sente tradito e derubato e reagisce con veemenza.
      Ogni pretesto è buono per criticare la nuova trilogia, che viene accusata di essere solo lo strumento delle ditte fondate da Lucas per mettere in mostra le proprie (addirittura discusse!) capacità tecniche.
      Ma come, un’origine fantascientifica?
      La trilogia classica avrebbe un “accento fantasy” leggermente più marcato solo perché l’Impero, la decadenza, il male, hanno portato nell’universo un’epoca di ignoranza?
      Ancora: ma come, allora lo Jedi improvvisato Luke non è poi così in gamba se paragonato agli Jedi del passato?
      A dirla tutta, queste cose erano già state chiaramente dette nel corso della trilogia classica, e l’attesa per la nuova trilogia era motivata anche, e molto, dal desiderio di vedere l’universo lucasiano nel suo splendore “originario”.
      E’ pure vero, però, che non sono poche le accuse nei confronti della devozione alla macchina disseminate per tutti i film della saga.
      Tanto nella trilogia classica quanto nella nuova trilogia, la corruzione e la disumanizzazione dei personaggi vengono spesso evidenziati dall’amputazione di arti o dall’indebolimento del fisico: si pensi ad Anakin e Luke, ma anche al bastone da passeggio di Yoda (Yoda è il simbolo degli Jedi: la sua fatica nel compiere gesti quotidiani suggerisce un notevole indebolimento della Forza negli Jedi).
      Non è inoltre possibile pensare alla Morte Nera, in entrambe le sue versioni, come a qualcosa di diverso dall’esaltazione del nichilismo: una mostruosa macchina da guerra che scimmiotta nelle forme un “vero” pianeta.
      Cosa dire, poi, del corpo deturpato e sconvolto dagli innesti cibernetici del padre di Luke?
      E’ difficile non riconoscere in questi segnali un chiaro messaggio di tipo fantasy (quanto meno di un tipo di fantasy).
      Si ripropone il quesito: dunque?
     
      Dunque si direbbe che, proprio come i personaggi dei film ripetono continuamente, è nell’equilibrio che va cercato il senso del ciclo narrativo.
      Non è la tecnologia da sola a definire la qualità dei film, ma è l’uso che della tecnologia si fa (giudizio che, curiosamente, si può estendere anche all’uso degli effetti speciali nei film).
      Certamente è vero che l’esercito di cloni è, comunque lo si utilizzi, uno strumento infido (per il semplice fatto di essere stato utilizzato: ma questo per l’avveduta e diabolica mossa politica di chi l’ha commissionato), ma è pur vero che è la conoscenza dei mezzi tecnologici e della “natura scientifica” della realtà a definire la “saggezza”, nei diversi film della saga.
      D’altro canto gli spettatori al cinema vanno a vedere un solo film per volta e non intere saghe in un colpo solo: è naturale, e giusto, che l’entusiasmo o la delusione siano il risultato della visione di “quel” film.
      Alla stessa maniera, pare ovvio come alcuni film della saga risultino più vicini al genere fantasy ed altri più tipicamente fantascientifici.
      Questo in qualche maniera sminuisce la saga nel complesso o ne stravolge il senso?
      Il senso della saga popolare di Guerre Stellari non è forse la ricerca di un equilibrio personale?
     
      Tenendo conto di ciò -e con “ciò” si intende, niente meno, il “succo”, il fondamento di tutti quanti i film girati ed in lavorazione- e tenendo conto dei tanti esempi di narrativa a cavallo tra i due generi (e delle molteplici sfumature dei due generi: vogliamo forse dimenticarci che tanta space opera, ovvero tanta fantascienza, è indubbiamente la versione modernizzata, galattica e futuristica del western?), non viene naturale replicare alla domanda “Guerre Stellari è fantasy o sci-fi?” con un “Semplicemente, Guerre Stellari è fantasy e sci-fi”?







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