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Un capolavoro alternativo

Le proposte musicali del poema sinfonico Shadows of the Empire

di Chiara Marino


     Pensare Star Wars oltre Star Wars. Immaginare una storia fuori canone che possa a buon diritto rientrare in esso, quale tessera di un mosaico che si definisce poco a poco e che forse non troverà mai una sua definitiva completezza, capolavoro in fieri quant'altri mai. Shadows of the Empire è quella tessera, è quell'evento che, pur non facendo della Saga un'eptalogia a tutti gli effetti, si propone in modo più che convincente quale potenziale espansione canonica del ciclo narrativo starwarsiano.
     E dal momento che non si può affatto pensare Star Wars senza un universo musicale parallelo, anche Shadows —romanzo legato ad un vasto progetto multimediale, ma non cinematografico— doveva al suo apparire essere accompagnato —e completato— da una "colonna sonora".
     Definire come tale una composizione musicale che trae ispirazione da un'opera letteraria è quantomeno fuorviante, oltre che tecnicamente impreciso. Se infatti riflettiamo sui legami che vengono ad instaurarsi tra musica ed immagine da una parte, e tra musica e parola scritta dall'altra, ci accorgiamo che gli esiti possono risultare sensibilmente dissimili, in quanto viene a mutare la fonte prima d'ispirazione. Nel primo caso - quello cioè della composizione a commento di un'azione drammatica, sia essa cinematografica o teatrale - il compositore è legato direttamente allo svolgimento degli eventi scenici, ed è inevitabile che il discorso musicale assolva una funzione principalmente imitativa, assumendo l'aspetto di un dramma senza parole, in cui l'icasticità delle frasi sonore ripete la gestualità dell'evento rappresentato sul palcoscenico oppure sullo schermo.
     La funzionalità imitativa, dunque, innanzitutto per la musica lirica, di balletto, per la colonna sonora sinfonica, per le musiche di scena di un'opera in prosa.
     Ma quale mimesis può esistere nella composizione a commento della pagina scritta? La risposta è: nessuna. Nessuna, dal momento che il suo autore illustra certamente una scena narrata, ma descrive non ciò che oggettivamente è scritto, bensì quanto egli soggettivamente ha letto. Sta tutta qui la differenza tra qualsiasi composizione musicale e il cosiddetto "poema sinfonico", che è libera rielaborazione di emozioni ed immagini suggerite dalla parola, ma filtrate dall'interiorità e dalla sensibilità del fruitore dell'opera letteraria.
     Valga, a titolo esemplificativo, il caso di Tchaikovsky, che reinterpreta in modo personale sia il Canto V dell'Inferno dantesco nel poema sinfonico Francesca da Rimini, sia i drammi shakespeariani Amleto e La Tempesta, senza attenersi minimamente all'andamento logico-narrativo delle opere musicalmente descritte. Il risultato ottenuto assume la vaghezza delle libere associazioni mentali che, gravitando attorno al tema svolto, ne propongono le atmosfere senza però vincolarsi ad un preciso contesto, alla funzionalità imitativa di cui dicevamo sopra.

     Declinando la proposta di scrivere una composizione ispirata a Shadows, John Williams apriva le porte a possibilità ricche di sviluppi, forse mai tentate prima di allora.
     Eravamo abituati a vedere legato il nome di Williams all'universo starwarsiano e non immaginavamo che qualche altro musicista potesse ottenere risultati altrettanto eccellenti, pur seguendo vie diverse, nella rinarrazione musicale di personaggi, cose ed avvenimenti rappresentati. Eppure l'impensabile si è avverato ed ora noi possediamo un meraviglioso poema sinfonico (ma non una vera e propria musica di scena, per le ragioni che abbiamo appena esposto) che può a tutti gli effetti venir considerato un suggerimento di musica starwarsiana, un'alternativa al linguaggio williamsiano, una proposta di reinterpretazione dell'idea musicale che sta alla base della Saga.
     È noto infatti che Williams ha adottato la tecnica wagneriana dei motivi ricorrenti per creare un tessuto sonoro assolutamente parallelo all'azione scenica, mai asservito a questa e mai preponderante, bensì suo esatto complemento.
     Personaggi e situazioni sono rispettivamente rappresentati o illustrati da una melodia o da un semplice accordo che, nell'arco della composizione, ritorneranno adeguatamente trasformati, eppure sempre (o quasi sempre) riconoscibili a seconda del contesto: l'arcaica nobiltà del Tema della Forza, ad esempio - motivo tra l'altro associato anche alla Spada, al vecchio Obi-Wan, ai Cavalieri Jedi - risuonerà ora colma di pathos, ora sommessamente discreta, ora spiccatamente eroica quando le esigenze sceniche lo richiederanno.
     È chiaro dunque che per attenersi ad un simile progetto musicale è necessario disporre di una tecnica compositiva delle più raffinate, oltreché di una genialità che solo a pochi è dato possedere. Wagner era riuscito nell'esperimento, lui prima di molti altri. John Williams ha ripercorso la strada dell'autore dell'Anello, perché essa offriva la possibilità di infondere l'esatto afflato epico ad una saga che della Tetralogia wagneriana è discendente diretta. E ha compiuto un lavoro impressionante, sebbene lontano dalla monolitica compattezza wagneriana. L'impiego dell'universo del leit-motiv è infatti meno denso e meno capillare nell'autore statunitense, rispetto il musicista tedesco. La duttilità melodico-armonica delle singole cellule tematiche non viene spinta da Williams al limite delle possibilità e ben di rado un motivo ricorrente starwarsiano apparirà distorto ed irriconoscibile come spesso invece accade nell'Anello.
     Con questo, sia chiaro, non intendiamo affatto diminuire l'opera di Williams, confinandola nella troppo facile ghettizzazione in cui snobisticamente si tendono a relegare gli autori di musica per film. Williams è un grandissimo compositore e ha infuso la propria personalità negli impasti sonori della Trilogia proprio come Wagner aveva fatto con quelli del suo Anello. I risultati sono simili pur nella loro diversità, e così doveva, deve essere: se infatti Williams avesse adottato in toto i criteri compositivi del tedesco, non avrebbe fatto altro che replicare in modo piattamente banale uno schema predefinito.

     Questa lunga digressione per far comprendere quali siano le reali possibilità che si presentano ad un musicista che voglia ipoteticamente affrontare una riscrittura della musica starwarsiana. Le vie sono due: tentare la strada tracciata da Wagner - ma dopo Williams sussiste il rischio che gli esiti sfocino nel manierismo, a meno che il compositore non affronti l'ostacolo con piena consapevolezza tecnica ed artistica; oppure rovesciare completamente la concezione musicale adottata da ventitré anni a questa parte, dimenticando - e superando - il wagnerismo, tralasciando ogni intento narrativo nella costruzione del testo musicale.
     Joel McNeely, dovendo scrivere un poema sinfonico tratto da Shadows - dunque da un lavoro collaterale all'Esalogia - ha optato per questa seconda via, con risultati davvero sorprendenti. Non solo: ha dimenticato persino il romanticismo tedesco per muovere da stilemi russi dell'Otto e del Novecento. È vero, tuttavia, che anche in Williams c'è molto Prokofiev e soprattutto Shostakovich (in particolare nell'impiego dei fiati), ma in McNeely le ascendenze risultano molto più palesi, più esplorate e più dettagliatamente analizzate. Mentre Williams è un eclettico che opera un grandioso lavoro di sintesi, attingendo a questa o a quella scuola, McNeely è più spiccatamente riconoscibile nelle dichiararsi erede di Prokofiev, più omogeneo nel dosaggio delle masse sonore, sebbene meno ardito nelle scelte d'orchestrazione.
     Quella di McNeely, a conti fatti, si è rivelata la scelta migliore perché, proprio come Shadows è un episodio non esalogico, così la composizione ad esso ispirata rimanda all'universo musicale della Saga soltanto in virtù di rari temi (Darth Vader, Forza, Amore) utilizzati come semplici richiami al mondo mitico starwarsiano e non già come reali coprotagonisti dell'evento scenico.
     La proporzione è dunque la seguente: Shadows non sta all'ESALOGIA come la musica di Shadows non sta al WAGNERISMO ESALOGICO.
     Uno degli elementi maggiormente innovativi introdotti da McNeely è l'impiego del coro, che aumenta la drammaticità del discorso musicale. Williams avrebbe tentato il medesimo percorso con EpI, dagli esiti ben noti: l'incomparabile corale Duel of Fates. Ma McNeely si spinge oltre, creando un brano conclusivo che innanzitutto è narrazione dentro la narrazione e che costituisce il culmine della partitura di Shadows. McNeely non trova dunque il suo punto di forza nell'impiego del leit-motiv, bensì in quello delle atmosfere esotiche suggerite dalle scale pentafoniche e soprattutto dall'impiego di ritmi di danza che Williams non considera, quali il walzer e la tarantella, e che infondono un'atmosfera desueta all'universo musicale starwarsiano, tanto operistico e così poco coreutico.
     Quali sono, dunque, le proposte musicali di McNeely per Shadows? Lungi dallo stilare una guida all'ascolto, sottolineiamo piuttosto gli elementi rilevanti dei brani, evidenziando in particolar modo le impronte dei compositori di cui McNeely è erede. Ci soffermeremo ampiamente, invece, sul finale - La distruzione del palazzo di Xizor - che è il pezzo più significativo dell'intera partitura.
     Il primo brano, posto a mo' di introduzione, riprende l'incipit williamsiano del tema di Luke, e cita gran parte della scena della camera di congelamento in Empire: siamo infatti al momento del sogno di Leia, la quale rivive il momento del distacco da Han, descritto da ampie citazioni del motivo dell'Amore. Quasi senza soluzione di continuità, siamo introdotti alla Battaglia di Gall, che dal punto di vista stilistico e tecnico molto ancora deve a Williams: si ascoltino i tamburi militari, la frase in fugato che rimanda alle scene di Hoth. Poi, però, McNeely abbandona la strada tracciata dal collega, doverosamente percorsa dovendo lavorare su una materia preesistente, e afferma la propria fisionomia di compositore autonomo, dotato d'un linguaggio suo proprio. Questa caratteristica traspare dal brano dedicato ad Imperial City, introdotto da sonorità che rimandano ai Pini di Roma di Respighi e in genere alla scuola italiana del primo Novecento. Un coro femminile si leva su una melodia pentafonica, seguito da una frase scultorea intonata dagli ottoni e sottolineata dal coro misto. Chiudono il brano una sezione cantabile e la ripresa della melodia iniziale in pianissimo. È un brano da concerto, con una sua struttura precisa (ABA), e soprattutto un poema sinfonico alla maniera romantica, in quanto descrive un luogo e le suggestioni da esso suscitate nell'animo del compositore (1).
     Per la disavventura di Luke a Beggar's Canyon, il compositore ricorre allo scherzo, con la felice trovata di un ritmo di tarantella, mentre la descrizione dei sotterranei della città è introdotta da una frase che cita alla lettera un tema di Romeo e Giulietta di Prokofiev (1936).
     Complessa e significativa è la proposta sonora per il principe Xizor: e più che un semplice tema essa si pone come un ritratto musicale dettagliato. Introdotto da sibili che richiamano il serpente a sonagli - non dimentichiamo che il principe è un alieno dai tratti di rettile - il brano è per lo più all'insegna di Stravinsky (La sagra della primavera, del 1913), mentre il magnifico inserto corale, ricco di pathos drammatico, deriva da certe atmosfere dell'opera russa. Subentra infine una sezione sottolineata da percussioni (tam tam in particolar modo) in cui si inserisce una frase orientaleggiante che non può non ricordare Schelomo di Ernst Bloch (1916).
     La seduzione di Leia da parte del principe è condotta sulle note di un walzer "alla Prokofiev", dal tessuto melodico-armonico assai simile a quello del walzer di Cenerentola (1945) (2). Questo ritmo di danza dal tempo ternario, in origine considerato "sconveniente" dalla società perbenista del primo Ottocento, ben suggerisce l'idea di smarrimento turbinoso che coglie Leia in presenza dell'alieno: la danza, dunque, come espressione dell'irrazionalità, poiché dove cessa la parola inizia il movimento (3).
     Tuttavia, tra tutti questi brani pur notevoli dal punto di vista artistico e tecnico, spicca il finale, cui facevamo cenno poc'anzi.
     Si tratta di uno sfolgorante omaggio all'Aleksandr Nevsky (1938) di Eisenstein/Prokofiev, un film che, supportato da una colonna sonora che è limitativo definire tale, rappresenta uno dei capisaldi della cinematografia di tutti i tempi.
     Prima di passare alla trattazione del finale di Shadows, è necessario introdurre il capolavoro del cineasta russo onde creare la base su cui condurre il nostro discorso.
     La vicenda, ambientata nella Russia del XIII secolo, narra del principe Aleksandr il quale, già distintosi nella guerra contro gli svedesi, si trova a dover affrontare l'invasione dei Cavalieri Teutonici. Egli arruola un vasto esercito popolare e con esso affronta i nemici sul lago ghiacciato Peipus, presso Novgorod. I russi, armati alla leggera, sarebbero teoricamente svantaggiati rispetto gli invasori che, invece, indossano pesanti armature sotto tuniche bianche (4): ma ciò che per questi ultimi dovrebbe rappresentare un punto di forza, un mezzo sicuro di vittoria, si ritorce contro di loro. Il ghiaccio, infatti, si spezza e i teutoni affogano assieme ai propri cavalli.
     Non ci soffermeremo, poiché non è questa la sede, sulla perfezione estetica della pellicola; sull' equilibrio tra il tempo dell'immagine e il tempo musicale; sulla contrapposizione iconografica tra le due forze nemiche, giocata tutta sull'evidente semplicità dei russi e sull'algida, spietata efficienza dei cavalieri invasori. Ci basterà dire che tutto il film, inscindibile dalla meravigliosa musica di scena, è una preparazione alla scena madre, quella della battaglia.
     In questo caso si può dire che Prokofiev superi se stesso. Il brano inizia in pianissimo, mentre noi vediamo stagliarsi contro un cielo nordico due guerrieri su un picco roccioso. Si attendono i nemici, l'atmosfera è tesa. All'improvviso, essi appaiono all'orizzonte e il loro avanzare è descritto da effetti musicali insoliti: gli archi suonano accanto al ponticello, ottenendo delle sonorità stridenti; un ritmo staccato che riproduce il rumore dei carri armati, perché, paradossalmente, tali sono gli invasori e i loro cavalli dalle gualdrappe di stoffa e metallo. Le forze nemiche in conflitto sono descritte musicalmente dal corale dei teutoni (Peregrinus expectavi, pedes meos in cymbalis), il quale interagisce con le melodie popolari russe (e qui non si può non rilevare quanto lo stesso Williams, nelle sue pagine di battaglia, debba alla lezione di Prokofiev, soprattutto nell'uso degli ottoni). Al momento della rottura del ghiaccio, un grandioso affresco sonoro sottolinea la tragicità degli eventi, prima che l'orchestra concluda il brano in pianissimo.
     Una musica potentemente descrittiva, dunque, che di per sé gode di vita autonoma anche al di là del fatto scenico: un vero poema sinfonico.
     McNeely parte dallo stesso assunto, per il gran finale di Shadows: uno scontro tra i protagonisti della vicenda; la soluzione del conflitto tra Xizor e Vader, certo. Ma anche e soprattutto, quale metanarrazione, l'esposizione di un poema in lingua aliena, intonato dal coro. Di che cosa si tratta?
     Se leggiamo le note riportate nel libretto allegato al disco, scopriamo di essere in presenza di una singolare finzione letteraria che adombra il finale del Nevskij. Il coro intona i versi in lingua aliena di un poema epico, Dha Werda Verda, vecchio di migliaia di anni, conservato nel cristallo delle Roonstones e scoperto dal mercante ed esploratore Mungo Baobab (5). Esso narra di un'epica lotta tra i guerrieri Taungs e l'Esercito di Zhell, il cui scontro finale viene deciso da una formidabile eruzione vulcanica che non soltanto distrugge gli Zhell, ma che proietta nel cielo una cortina di polveri destinata ad oscurare per due anni le terre dei Taungs. Questi saranno ricordati come i "Dha Werda Verda", i Guerrieri dell'Ombra, e sul luogo della battaglia sorgerà, migliaia di anni dopo, Imperial City.
     Dal punto di vista della struttura narrativa, i due brani a confronto suggeriscono le seguenti similarità:

Aleksandr Nevskij Shadows of the Empire /
Dha Werda Verda
LUOGO DELLA BATTAGLIA: lago ghiacciato LUOGO DELLA BATTAGLIA: palazzo di Xizor; spazio/landa nei pressi di un vulcano
FORZE NEMICHE: Russi vs. Cavalieri Teutonici FORZE NEMICHE: eroi positivi di SW (e Vader) vs. Xizor/Taungs vs. Zhell
ESITO DELLA BATTAGLIA: rottura del ghiaccio ESITO DELLA BATTAGLIA: esplosione della nave di Xizor e distruzione del suo palazzo/eruzione vulcanica
CONSEGUENZE DELLA VITTORIA: libertà della Russia CONSEGUENZE DELLA VITTORIA: sconfitta di Xizor/gloria dei guerrieri Taungs; edificazione di una città.


     Da tener presente, quindi, che il finale di Shadows narra contemporaneamente due situazioni sovrapposte: il destino di Xizor e il tramonto del suo potere, nonché la vicenda dei due popoli guerrieri, argomento del poema epico.
     Dal punto di vista della struttura musicale, notiamo che entrambi i lavori si aprono su una sezione in pianissimo, con la presenza del coro nel brano starwarsiano, seguita da un episodio dal ritmo staccato che conduce al grande pieno orchestrale. Sia in Nevskij che in Shadows ascoltiamo degli interventi corali nella sezione centrale, poco prima della vasta sezione conclusiva che, al pari di una ventata liberatoria, chiude le due pagine in modo trionfale.

     McNeely non poteva lavorare meglio su un progetto ambizioso e certamente non facile come quello di Shadows. Possiamo dire che la sua partitura è un capolavoro assoluto tanto quanto la musica di scena per la Trilogia (siamo in attesa di ascoltare l'Esalogia completa), soprattutto perché redatto, come dicevamo all'inizio di questo saggio, con un linguaggio autonomo ed originale.
     Ci auguriamo che possa essere pubblicato nuovamente, dopo l'ormai esaurita edizione di Varèse Sarabande, e che possa entrare a buon diritto nel repertorio concertistico delle grandi orchestre, proprio come le pagine williamsiane. Prova, quest'ultima, che SW è entrato a tutti gli effetti nell'Olimpo dei classici.





     Note:

(1) Si pensi a certi lavori di Smetana (il ciclo Má Vlast [La mia patria], composto tra il 1874 e il 1879, di cui fa parte il celeberrimo Vltava [Moldava]) o di Sibelius (Finlandia, 1899).
(2) Atto secondo, scena del ballo.
(3) Cfr. Il demone della danza, nella sezione "Musica" di questo sito.
(4) Il bianco è qui impiegato per rappresentare dei personaggi negativi: pensiamo al colore delle armature degli Stormtroopers in SW.
(5) La finzione letteraria della scoperta di un manoscritto è un topos della tecnica narrativa. Ne siano esempio I promessi sposi e I tre moschettieri.





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