Ricordi

 

di Klaus "RedSky" Nehren

eagles@galactica.it

 

 

La notte era scesa da molto sulle sterminate giungle della quarta luna di Yavin. Gli animali uscivano dai loro nascondigli per andare a procacciarsi del cibo, e si fermavano all’erta, vicino alle grandi costruzioni antichissime disseminate nella foresta, ad ascoltare le grida e le risa, la musica e la felicità, prima di correre dietro a qualche piccola preda. L’atmosfera era serena, l’aria fresca ma non fredda.

Un piccolo predatore stava annusando l’aria, alla ricerca dell’odore della sua preda, quando udì un fruscio e si voltò incuriosito a guardare. Un esemplare giovane di una strana specie, con solo due zampe, due altre appendici, peli messi solo in certi punti, e la pelle rosa esposta all’aria, si muoveva attraverso gli alberi, sfiorando le foglie dei rami bassi con una delle appendici dall’apparenza inutile, lo sguardo indirizzato di fronte a sé. Il predatore rimase qualche secondo immobile, in mezzo al sentiero, a guardare il giovane intruso, valutandone la pericolosità. Poi, vinto dalla fame, decise altrimenti e si rigettò nella foresta.

L’uomo, vestito di una casacca bianca di pesante tela, chiusa in vita da una cintura in cuoio marrone scuro, con lunghi pantaloni anche bianchi e leggeri sandali ai piedi, attraversò il punto in cui fino a pochi istanti prima si era trovato l’animale senza far il minimo caso ai rumori della foresta. I suoi pensieri erano altrove, su un pianeta lontanissimo da quello, e allo stesso tempo nell’orbita di un pianeta distrutto, e tra i detriti nell’orbita di un pianeta che non era un pianeta. Visioni e immagini ancora confuse per il troppo poco tempo trascorso si accavallavano nella sua memoria ed egli viveva ancora una volta gli eventi delle ultime settimane.

In un così breve tempo, Luke Skywalker era divenuto un eroe, un personaggio famoso come pochi nella galassia, e un ricercato da parte dell’Impero per quello che aveva ottenuto e fatto. Ma sebbene avesse agognato tutta la sua vita a qualcosa di più, di differente, di grandioso, ora tutto questo aveva perso la sua importanza. Nulla aveva più un senso, nel caos dei suoi pensieri. Nel suo strano stato mentale, in cui nulla gli dava piacere o dolore, il giovane Skywalker ripensava a tutto ciò che aveva trovato e perso, in quelle settimane.

Era stato un ragazzo come gli altri, fino a un mese prima. Dispiaciuto per la partenza del suo migliore amico e deluso ed arrabbiato per l’ostinazione dello zio Owen, che si ostinava a tenerlo a casa quando lui voleva partire per l’Accademia. Era stato un ragazzo chiuso e introverso, unito per disperazione ad amici che lo schernivano in continuazione, lo chiamavano vermetto e lo consideravano solo perché lui faceva di tutto per farsi considerare. Un ragazzo come tanti, anche se a lui dei tanti non era importato poi molto. Era stato un sognatore, che immaginava battaglie inesistenti nell’orbita del suo pianeta. Era stato un bambino, che aveva sognato di lasciare il deserto in cui viveva per sempre, vinto dalla noia.

Poi erano arrivati i due droidi, e gli avevano sconvolto la vita. Ancora non riusciva a capacitarsi di come due computer ambulanti, due scatolette di latta luccicante, avessero potuto portare tanto dolore e tanta gioia nella sua vita, due sentimenti così estranei ed opposti da dover per forza convivere nel suo cuore. Luke aveva visto quel brano del messaggio di Leia, si era fatto convincere da R2 a togliergli il bullone di costrizione, e il piccolo droide era scappato. E Luke aveva incontrato Ben, che gli aveva cambiato tutte le cognizioni di base sulle sue origini, gli aveva detto di suo padre, della Forza.

E poi, la perdita di zio Owen e zia Beru, inceneriti dalla potenza delle truppe imperiali alla ricerca dei due droidi fuggitivi. E Mos Eisley, e Han, e la fuga dai due Star Destroyer, e l’addestramento, e Alderaan, e la Morte Nera, e Ben, e Biggs, e… Nella mente di Luke le immagini dei suoi cari si avvicendavano velocemente, ed ognuna provocava una nota di dolore differente.

La sua infanzia era stata tranquilla, lo Zio aveva fatto in modo di tenerlo fuori dei guai il più possibile, ed egli era cresciuto insieme a Deak, e Windy, e Fixer e soprattutto Biggs. E sempre con l’impressione che Ben Kenobi lo tenesse d’occhio, lo proteggesse in qualche modo. E crescendo aveva iniziato a sognare di battaglie ed avventure, di volare e comprare un mercantile insieme a Biggs, per attraversare ed essere il primo a visitare tutti i pianeti di tutti i sistemi solari della galassia.

Quanti sogni, quanta energia aveva utilizzato per immaginare la sua vita futura, che tante volte aveva contemplato il suo diventare indiscusso eroe per tutti gli abitanti della galassia. Ma essere un eroe non gli interessava più, ora che lo era diventato. Avrebbe ceduto volentieri le onorificenze a chiunque, se in questo modo avesse potuto riavere con sé i suoi amici. La vivida immagine della fattoria in fiamme si proiettò sull’interno delle palpebre chiuse di Luke, e rivide ogni cosa, ogni oggetto bruciato o in cenere, ogni odore di quella mattina gli si trasmise alle narici, e riassaporò le lacrime che erano scese sulle sue guance e nella sua bocca, alla vista di ciò che rimaneva dei suoi genitori adottivi, della sua infanzia. Tutto era andato perduto in quell’istante. I due neri scheletri informi gli si pararono davanti agli occhi, e gli rinfacciarono quella sua mancanza, dicendo che era colpa sua, che nulla sarebbe successo se ne fosse rimasto fuori, se non avesse mai consigliato a suo zio di comprare i droidi, se avesse ubbidito e non si fosse intromesso in faccende che non lo riguardavano.

Luke camminava sempre più lento tra gli alberi, carezzando una foglia o la corteccia di una pianta, guardandosi attorno, cercando di spazzare via le immagini che lo confondevano, turbini di dolore nella sua mente. Ricordò l’incontro con Han, la partenza movimentata da Tatooine, la paura che aveva nascosto alla vista delle due navi da guerra Imperiali, la preoccupazione quando Ben si era improvvisamente sentito male durante l’addestramento.

Ben… Mai presente nella sua vita eppure mai completamente estraneo, che compariva come un mago quando Luke sembrava avere bisogno di lui. Anche questa volta gli aveva salvato la vita, come tanto tempo prima, quando lui e Deak si erano persi nei canyon del deserto, abbandonati dal Dewback che li aveva disarcionati ed era svanito. Ben, che aveva agito da protettore per quest’impulsivo ragazzino. Ben, che gli aveva detto che suo padre era stato un Jedi, e che gli aveva raccontato della sua morte per mano di Darth Vader. Luke provò un moto di odio e disgusto al solo pensiero di quel nome oscuro. E Vader non solo gli aveva ucciso il padre, il dolore non era così forte, non lo aveva mai comunque conosciuto, ma ora si era macchiato anche della morte di Ben, il suo Maestro nelle vie della Forza, l’unico altro Jedi cui Luke avrebbe potuto chiedere aiuto. Ben, che aveva smesso di combattere improvvisamente, lo aveva guardato, aveva sorriso. E si era lasciato abbattere. E poi la sua voce, che Luke aveva sentito distintamente, in più di un’occasione in quelle ore. Dapprima gli aveva intimato di correre, e Luke era corso. Poi gli aveva consigliato di fidarsi del suo istinto, e Luke lo aveva fatto, insicuro della sua sanità mentale, considerando che riceveva consigli dalla voce di un uomo già morto. Ben per quelle poche settimane era stato come il padre che Luke avrebbe voluto avere; comprensivo, insistente ma mai oppressivo, lo aveva tenuto per mano nell’apprendere i meccanismi della Forza. La perdita di Ben lo aveva reso insicuro. Chi altri gli avrebbe potuto insegnare ad essere un Cavaliere Jedi, come suo padre? Chi altri, là fuori, sapeva della sua esistenza, e sarebbe giunto ad aiutarlo e salvarlo?

Le orecchie di Luke sentirono dei fruscii, e il ragazzo venne risvegliato dal torpore della sua riflessione. L’intuito gli disse che qualcuno lo stava cercando, ed infatti dopo pochi attimi sentì le voci dei droidi che lo chiamavano, uno col suo trillo e l’altro con la sua voce perennemente preoccupata.

"Padron Luke? Dove siete Padron Luke?" urlava C-3PO, col tono della balia che si è persa il bambino che aveva in cura e non vuole dirlo ai genitori. Un trillo musicale da parte di R2-D2.

"Sicuro che sia da quella parte? Non stai captando un animale coi tuoi sensori? Non ci troveremo faccia a faccia con un mostro peloso di tre metri d’altezza? Oh, Santo Cielo, perché devo fidarmi di una lattina a rotelle?"

Luke non aveva voglia di vedere nessuno, voleva starsene da solo, e si mise a camminare più in fretta, cercando di seminare i due droidi, ma sapendo che in sensori di R2 lo seguivano e lo avrebbero quasi certamente scovato. Infastidito, concentrato sul suo dolore, Luke fece un gesto istintivo come per scacciare le due persone meccaniche che lo cercavano, chiamando il suo nome. Con sua sorpresa, sentì una strana piccola onda propagarsi da sé in direzione dei droidi, e lontano, un tonfo sordo in mezzo agli alberi.

"Ecco, vedi? E’ da quella parte," disse 3PO. R2 trillò una risposta. "Che i tuoi sensori non captino nulla in quella direzione non mi dice assolutamente niente. Con l’umidità che c’è, ti sarà andato in corto qualcuno dei tuoi circuiti. O magri hanno seguito le mie preghiere quando ti hanno riparato e hanno qualcuno dei tuoi accessori inutili. Andiamo, padron Luke è sicuramente da quella parte."

Le voci si allontanarono, sempre chiamando il suo nome. Luke si rilassò, senza riflettere su quanto facile fosse stato usare la Forza per confondere i suoi inseguitori, e tornò nel suo mondo interiore. I suoi passi, intanto, lo avevano condotto ai piedi di un altro piccolo Tempio Massassi, e lui aveva iniziato a salire gli alti gradini in pietra.

Luke ricordava il sole di quel giorno così vicino ma che sembrava al tempo stesso distante migliaia di anni. Aveva visto qualcosa, una battaglia nello spazio, oltre l’atmosfera. Ed era corso a dirlo a tutti. Era entrato nell’officina di Fixer, si era guardato attorno, agitato, ed aveva visto qualcuno che conosceva, lì, insieme agli altri. Biggs! I due si erano abbracciati, e avevano parlato a lungo, nell’officina e fuori. Avevano anche discusso, ma era una delle solite discussioni che avevano avuto sempre, che iniziava con un refolo di vento e con la brezza leggera delle loro risa si spegneva, pochissimo dopo.

E Biggs era partito. Prima che Luke trovasse i droidi, prima che scoprisse quelle verità sul suo passato, prima di perdere lo zio e la zia. Si era chiesto quando avrebbe rivisto mai Biggs, quando le due stelle cadenti si sarebbero finalmente riunite. Ed era stato convinto che non sarebbe mai successo, mentre quella sera tornava verso casa. E invece, poche settimane dopo, solo ieri, si erano improvvisamente ed inaspettatamente riuniti, con grande gioia e stupore, con tante cose da dirsi e troppo poco tempo per dirsele, prima di dover partire all’attacco della Morte Nera. E lì, dopo tanti sogni e tante prove, finalmente ritrovarsi insieme, a combattere per una causa comune. Per Luke quella battaglia era stata come la realizzazione di tutti i suoi sogni d’infanzia, ed era stato incredibilmente felice. Ma ci volle poco perché la felicità si tramutasse ancora una volta in dolore, e Biggs morisse per proteggere il suo amico ed i suoi ideali, dando la vita per la ribellione. E quell’ultimo gesto, quell’ultimo bottone spinto, che aveva finalmente messo la parola fine alle macchinazioni e alla distruzione di quella immensa macchina da guerra, era stato premuto da Luke soltanto, ma quando lo aveva premuto, tutte quelle persone, tutto quell’amore che aveva provato per loro, Biggs, e lo zio Owen, e la zia Beru, e Ben, e anche suo padre Anakin, tutti loro erano stati lì con lui, e insieme a lui avevano premuto quel pulsante.

Luke era seduto sulla sommità della piramide, lo sguardo annebbiato dalle lacrime. Si risvegliò per un momento dal suo dolore, si tolse le lacrime dagli occhi con la manica della casacca, tirò su col naso, e si guardò intorno. Nella notte, il pianeta Yavin giganteggiava rosso come non mai su una buona porzione del cielo, e tutt’intorno esplodevano i festanti fuochi artificiali introdotti segretamente nella base da qualche pazzo ottimista ribelle.

Il cuore di Luke era in subbuglio. Aveva appena rivissuto i momenti più tristi legati a questa altrimenti incredibile, indescrivibile avventura. Ed ora il dolore che aveva tenuto sopito per tanto tempo, riaffiorava come in un’eruzione vulcanica, e le lacrime non smettevano di scendergli dagli occhi. Rabbrividendo, decise di seguire il consiglio che Ben gli avrebbe dato. "Ora puoi farlo," avrebbe detto. "Lascia che i tuoi sentimenti sgorghino incontrollati, piangi e sfogati." Questo avrebbe detto. O forse no? Forse che un Jedi dovesse reprimere ogni sentimento, per quanto forte potesse essere? Non poteva un Jedi provare amore e tristezza per una perdita? Luke non voleva e non poteva crederlo. Ma in questo momento non importavano gli insegnamenti dei Jedi. Luke aveva in se una tristezza infinita, e senza trattenersi più, si sfogò per quanto fosse possibile, e per ore intere i singhiozzi lo sconvolsero e le lacrime continuarono a bagnargli il viso di ragazzo.

"Cosa devo fare? Ammettere che avevo torto? Va bene, avevo torto!"

Un trillo insistente.

"Ma cosa potevo saperne che quello era solo un ramo caduto? Io non ho tutti quei meravigliosi sensori tanto sprecati nel tuo cilindrico corpicino. Avresti dovuto insistere, costringermi. E invece niente, mi sei venuto dietro senza dire nulla!"

Luke si riscosse dalle lacrime, vedendo due figure luccicanti che si avvicinavano ai piedi della piramide. C-3PO camminava barcollando come al suo solito, preceduto da R2-D2 che trillava, mentre le sue rotelle sorpassavano facilmente gli ostacoli che 3PO poteva trovare insormontabili.

"Padron Luke?" urlò ancora una volta il droide dorato, mentre Luke li osservava divertito. Il dolore era sempre presente, certo, ma lo sfogo di queste ore di lacrime e singhiozzi lo aveva rilassato e calmato. Il dolore sarebbe rimasto, per lungo tempo, ma sarebbe rimasto come ricordi, come immagini più o meno chiare e distinte. Ora era il tempo della felicità, e Luke non aveva intenzione di perdersi altro dei festeggiamenti. Aveva anzi intenzione di bere fino ad addormentarsi in qualche luogo solitario, abbracciato a Chewie o a qualche altro, o altra, ribelle. E, in quanto all’altra ribelle che avrebbe voluto abbracciare, aveva un’idea piuttosto precisa di chi desiderava che fosse. Luke si alzò, e scese velocemente i gradoni della piramide, ascoltando il battibecco dei due droidi, anche se capiva solo quello che diceva 3PO e doveva interpretare quel che poteva aver detto la controparte astromeccanica.

"Oh, eccovi, padron Luke! Eravamo preoccupatissimi," disse 3PO quando lo vide avvicinarsi.

"Nessuna preoccupazione, 3PO," disse Luke. "Avevo solo bisogno di starmene un po’ per conto mio." R2 trillò qualcosa.

"Va bene, d’accordo, avevi ragione anche questa volta. Ma io non potevo certo fidarmi dell’istinto di un secchio pieno di circuiti, non pensi?"

I due continuarono il loro battibecco, mentre Luke si era già incamminato verso la base. C’era da festeggiare, e sebbene fosse stata vinta una grande battaglia, una grande vittoria, la guerra tra l’Alleanza Ribelle e l’Impero Galattico non era ancora finita, e si prospettava lunga ed estenuante.