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Democrazia imperfetta, il Bacio della Donna Ragno e Voglio volare via da questo pianeta

di Anna Feruglio Dal Dan


     Voglio volare via da questo pianeta!

     Sì, voglio volarmene via da questo pianeta dove la gente è povera e infelice, voglio essere un pilota spaziale, combattere per salvare la Galassia dai cattivi, vincere la guerra da solo anche se sono molto piccolo, vincere perché qualcuno mi aiuta e mi viene così, spontaneo, senza fare fatica, voglio lasciare la mamma e diventare grande, e avere tante avventure meravigliose, visitare pianeti abitati da gente strana, con città immense e re e principesse e guerrieri saggi e coraggiosi, anche se una mamma così che ti vuole bene ma non ti trattiene e ti lascia costruire un razzo in cortile è già tanto averla avuta, e basterebbe quello. Voglio un robot tutto mio e un grande amore che mi aspetta, ma soprattutto voglio scappare via da qui, via da questa palla di fango dove nessuno mi ascolta e mi capisce e dove sono solo un bambino che non può decidere niente.
     E se è per questo voglio anche essere bellissima e molto importante, anche se sono piccola, avere vestiti meravigliosi e governare un pianeta, essere buona e saggia e che tutti mi ammirino e mi vogliano bene, voglio potere andare in Senato a dirne quattro a questi adulti che pretendono di essere più saggi e più in gamba e invece non sanno fare altro che scuotere le spalle e dirti che così va il mondo quando la gente soffre e muore; voglio dirgli che non ho fiducia in loro e che saprei fare molto meglio io, se solo mi dessero una pistola e la possibilità di combattere in prima linea, perché saprei essere più coraggiosa di loro; e vorrei una pistola d'argento e delle amiche fidate che combattano con me, e che un esercito di uomini che mi seguano invece di sfottermi e sibilarmi cose dietro quando passo per strada.

     Leni Riefensthal

     Ne Il Bacio della Donna Ragno di Manuel Puig, Valentin Arregui e Luis Molina sono chiusi nella stessa cella di un carcere di Buenos Aires. [...] Ogni sera Molina racconta a Valentin, per distrarlo, la trama di un film. Un giorno gli racconta la trama di [...] Destino, pellicola di propaganda nazista della celebre, e raffinatissima, regista tedesca Leni Riefensthal. Alla Riefensthal si deve anche un documentario girato in occasione del raduno di Norimberga del '35, Il trionfo della volontà: la scena finale di Guerre Stellari Episodio IV: Una nuova speranza, cioè il film del 1977, è tratta di peso da Il trionfo della volontà.
     [...] Fra le molte altre cose, il romanzo è una riflessione sulla cultura popolare, soprattutto sul cinema, sul suo valore e sui suoi limiti. E non abbraccia affatto, è bene sottolinearlo, la sbrigativa condanna che Valentin pronuncia di tutta la cultura popolare in blocco: "Adesso basta con queste sciocchezze".

     La seduzione di giovani menti

     Ci guardiamo bene dall'attribuire un valore eccessivo ad un film che evidentemente, nelle intenzioni del suo autore, non è altro che un sogno. Tuttavia vorremmo far notare alcune cose. Indubbiamente George Lucas fa film per guadagnare soldi, e guardagnarli soprattutto seducendo un pubblico sensibile alla manipolazione consumistica, cioè i bambini e gli adolescenti, che vanno a comprare i calendari, gli astucci, i pupazzetti e le spade laser di plastica. Probabilmente non è bene indurre la gioventù al consumismo, però bisogna dire che da questo punto di vista sono veramente in pochi a poter scagliare la prima pietra. Bisogna anche dire che fare opere d'arte per guadagnare soldi non è una depravazione inventata dagli americani, ma una pratica che risale probabilmente a Prassitele. Giova anche ricordare che la sete di guadagno non ha impedito ad una lunga schiera di artisti di produrre opere di alto ingegno e straziante pregnanza (che so, la Cappella Sistina) e a maggior ragione non si può negare che anche gli artigiani che si fanno pagare sono in grado di lavorare col cuore e consegnare prodotti di cui sono fieri e a cui tengono come carne della propria carne.
     In quanto alla seduzione delle giovani menti, non si può che rimanere ammirati di fronte all'accumulo di piccoli gancetti, che abbiamo tratteggiato più sopra, che Lucas usa per trascinare i suoi piccoli spettatori all'identificazione entusiastica con i suoi protagonisti. Un critico di straordinario buon cuore potrebbe perfino lodare e forse lo farebbe, si trattasse di qualcun altro! la comprensione della psicologia adolescenziale che permette a Lucas di costruire la sua diabolicamente efficiente macchina vendi-spade laser di plastica.
     Noi ci limitiamo ad augurarci, merchandising o non merchandising, che la macchina funzioni. Oh sì, che i pargoli vadano a lui e ne escano anelando ad avventure spaziali, all'evasione in un mondo più giusto e meno indifferente, ad una vittoria la cui ricompensa è la maturità, la riconoscenza dei giusti, il portare la speranza dove non c'era, e non fama e gloria. Che le piccole adolescenti si mettano in testa di essere in grado di volere e agire, e non che il mondo a loro non chieda altro che essere belline, indifferenti, accomodanti e stupide.

     Per menti non più giovani: democrazia imperfetta, eroi pericolosi

     Il resto di noi, che è nato abbastanza in là da andare al cinema sulle proprie gambe nel 1977, si accorge di altre cose. Noi sappiamo come va a finire. Male.
     La grande Repubblica che non ammette la schiavitù e deplora, per quanto velleitariamente, la sopraffazione, crolla, sostituita dalla tirannide di un "uomo forte" che certo sa far marciare le cose (e la gente). Il bambino generoso e che non conosce l'avidità diventerà un mostro inumano e crudele, la maschera del male che abbiamo imparato a conoscere (e amare) nella prima trilogia. Il giovane e serio Jedi Obi-Wan morirà, sbrigativamente, prima ancora di poter trasmettere una speranza al suo allievo.
     Al resto di noi che ha passato i dieci anni il film sussurra, quasi inavvertita sotto la meraviglia di un sogno per gli occhi, una morale amara. Che i buoni, i giusti, i generosi, coloro che sono animati da buone intenzioni e dal fermo proposito di non assistere impotenti all'ingiustizia sono, in questo film, ciechi, sordi e stupidi.
     Amidala, nel suo coraggioso dichiarare che la buone intenzioni non sono abbastanza, che una democrazia bloccata è serva dei forti e prepotenti, che il potere deve essere non solo saggio ma capace di agire, non si accorge di diventare bandiera di un generoso ma pericoloso qualunquismo. Non si ferma a guardare bene in faccia il suo suadente alleato che promette "un governo forte", per quanto la cosa le provochi dei dubbi, ma corre a fare la cosa giusta, cioè soccorrere il suo popolo con le armi in mano, aprendo così la strada ad una piccola vittoria e ad una più grande sconfitta.
     Il nobile Consiglio dei Jedi, il più alto concentrato di saggezza profonda nella Galassia, si lascia commuovere dal sacrificio di Qui-Gon e finisce per consegnare conoscenze, addestramento e potere nelle mani di un bambino che un giorno li spazzerà via; cerca di stanare un soldato nerovestito e il cui volto proclama senza mezzi termini la propria malvagità, e non riesce a riconoscere in un signore sorridente e che auspica il governo di un "uomo forte" il più pericoloso dei tiranni.
     Qui-Gon, un uomo buono e un guerriero grande, ma evidentemente tutt'altro che saggio, fa di tutto perché un ragazzino evidentemente dotato diventi potente, e poi si fa ammazzare, per aver corso troppo avanti, senza concedersi l'occasione di insegnare allo stesso ragazzino come usare questa forza.
     Non è una storia piacevole quella che il film racconta a chi presta attenzione, e non è nemmeno particolarmente originale. La democrazia non basta, né voltare le spalle a quel che non funziona per darsi all'azione risolutiva è necessariamente un bene; gli eroi sono ammirevoli ma tutt'altro che innocui, e i benintenzionati finiscono spesso per fare il gioco di chi è più spregiudicato, più cinico di loro. Anche questa è una lezione che speriamo superi il muro del merchandising e riesca a insinuarsi come il tarlo del dubbio nelle menti dei pargoli.

     Il lato sghembo della Forza (1)

     Forse l'unico innocente, l'unico saggio, è un personaggio che sembra fare da specchio deformato agli altri personaggi, arrendendosi nello stesso momento in cui lo fa Amidala, ma senza un piano, distruggendo l'esercito nemico per sbaglio come Anakin, ma senza vincere la battaglia. Jar Jar Binks, che dovunque passi provoca pasticci, almeno ha il pregio di provocare pasticci evidenti e innocui. Come il suo popolo, il cui esercito marcia in parata ballando, Jar Jar è considerato un imbecille, ma lo è molto meno di altri. Non si fa sorprendere da un colpo al mento, non possiede la disarmante ma pur sempre bugiarda malizia di Anakin ("Tornare indietro? Qui-Gon mi ha detto di restare in questa carlinga e così farò!"), non sbandiera, come fanno i Naboo, il proprio pacifismo per abdicarlo proprio nel momento in cui viene messo alla prova, non nasconde la sua paura, la sua tenerezza, e nemmeno la sua lealtà. Non so quanti abbiano notato che seguire i Jedi lo conduce ad una serie di rischi mortali primo fra tutti quello di ritornare dal suo popolo che l'ha esiliato, ma pur gemendo, lamentandosi e guaendo Jar Jar non si tira indietro. Jar Jar è un terrificante pasticcione, ma un terrificante pasticcione d'onore.

     Il lato tenero della Forza: un film di sentimenti, figli, separazioni

     Guerre Stellari IV, V e VI sono film i cui protagonisti sono adolescenti e giovani adulti, spesso alle prese con forze più grandi di loro, dotati di una notevole capacità di battibeccare in modo divertente e di buttarsi alle spalle le più grandi tragedie. Pensiamo, per esempio, a quanto ci mette Leia a rimettersi dalla distruzione del suo pianeta natale e con esso di tutta la sua famiglia e il suo popolo: un urletto, e quando Luke arriva nella sua cella è subito pronta a fare battutine acide. E quando è in salvo liquida in poche parole le condoglianze di Dodonna dicendo che non c'è tempo per piangere i morti. Luke lascia i suoi zii con una sbrigativa lacrima.
     Se devono corteggiarsi, lo fanno sfottendosi, rispondendo con adorabile disinvoltura ("Lo so") a struggenti dichiarazioni d'amore. Luke incontra Yoda e subito cominciano a litigare. Han e Lando praticamente non fanno altro. C-3PO insolentisce continuamente la sua "controparte" e a giudicare dal tono delle risposte R2-D2 non è da meno. Luke e Han sono, come è stato notato, impegnati in un tipico gioco maschile dove l'amicizia, alla fine, prevale decisamente sull'amore (e solo in corner Han viene salvato dalla grande rinuncia in favore dell'amico, da una provvidenziale parentela che a quanto pare non ha altra funzione).
     È vero: c'è, per usare un eufemismo, una figura paterna molto importante, e dopo avere rivisto Return of the Jedi chi scrive rimpiange che non si sia dedicato un po' più di attenzione a questo tema.
     Ma in TPM tutto cambia. I protagonisti non sono adolescenti, ma adulti o bambini, o più spesso, entrambe le cose. Amidala ha quattordici anni, ma possiede una gravità e maturità che Leia non ha l'occasione, ad essere buoni, di dimostrare. Anakin ne ha nove, ma sembra meno capriccioso e difficile di Luke. Al centro del film, a fare da cerniera, c'è la scena della separazione di Anakin da sua madre. Non è l'unica. Obi-Wan deve separarsi da Qui-Gon e divenire adulto, Anakin perde il suo padre vicario, e Darth Sidious, naturalmente, perde il proprio allievo-figlio, ma l'importanza di questo si vedrà in seguito. La Repubblica perde il padre buono, Valorum. TPM è un film di genitori e figli, e molto spesso di figli che si emancipano e diventano adulti senza passare per uno stadio intermedio.
     Circola nel film molto meno sarcasmo e una dose più alta di ironia, di cui a volte i personaggi seri e posati del film sono vittime. Valga per tutte la scena deliziosa in cui Qui-Gon cerca di pagare in valuta di poco pregio ricorrendo ad uno sporco trucchetto, e gli va male. Lo sfottò è quasi del tutto assente, perfino C-3PO ed R2-D2 vanno d'amore e d'accordo ma è presente, forse meno divertente ma più matura, una decisa tenerezza. I rapporti fra i personaggi sono spesso improntati ad affetto filiale o paterno perfino la terribile coppia Darth Sidious / Darth Maul ha un rapporto di questo genere ed è frequente l'aiuto disinteressato e generoso, di Anakin verso gli stranieri, di Qui-Gon verso Jar Jar e di Jar Jar verso i due Jedi, di Padmé che sbroglia con toccante dolcezza il povero Jar Jar dal motore dello sguscio. Coppie di padri/figli sono Yoda/Qui-Gon, Qui-Gon/Obi-Wan (Obi-Wan nutre verso il suo maestro qualcosa che è molto più vicino all'affetto che all'amicizia, e la scena del loro commiato è genuinamente toccante), Obi-Wan/Anakin, Qui-Gon/Amidala (e Padmé), Qui-Gon/Anakin, Palpatine/Amidala, Shmi/Anakin, perfino Anakin/Jar Jar (quando Anakin affronta Sebulba per salvare Jar Jar ha la forza e la convinzione di un adulto). Tutti i rapporti, anche quelli più politici, sono anche rapporti di affezione: Valorum reagisce, quando Amidala chiede la sfiducia della sua leadership, non con rabbia o incredulità ma con un'espressione terribilmente ferita.

     Un Universo poco Wasp: il Dalai Amidala

     Chi ha a che fare molto con la fantascienza (e in generale con il mondo) anglosassone è abituato alla beata convinzione che vi circola troppo spesso che l'universo, non solo in futuro auspicabile ma in molti casi già ora, sia abitato da gente di una sola razza, bianca, e che parla una sola lingua, l'inglese. Star Trek a suo tempo rappresentò un coraggioso passo avanti, anche se il coraggio è difficilmente percepito da noi: mise in scena gente di tutti i colori e tutti gli accenti. Certo, il protagonista era pur sempre bianco e americano, gli accenti erano buffi, ma insomma, le buone intenzioni c'erano. Guerre Stellari si è inchinato un paio di volte al politically correct, ma in generale ha scelto un'altra strada. In Guerre Stellari non ci sono americani di immigrazione non nordeuropea: ci sono stranieri. Forestieri. Alieni. Gente che parla in scena una sua lingua. In The Phantom Menace è stato fatto quanto possibile per dare l'idea non di alieni che sono uomini con una maschera di gomma, ma di una pluralità di lingue e culture. Siccome questo genere di cose è un'arma a doppio taglio, il film è stato accusato di razzismo, per via dell'accento vagamente asiatico dei Mercanti (asiatico nel senso di giapponese) e di quello sostanzialmente giamaicano dei Gungan. Ed è più che possibile che una venatura di razzismo, magari benevolo, ci sia in questo genere di scelte.
     Tuttavia si ha l'impressione, guardando soprattutto TPM, che Lucas abbia messo a frutto la sua permanenza in luoghi esotici del mondo e guardi con interesse a quel rutilante mondo esterno che la maggior parte degli americani teme e fugge. Amidala sfoggia su Coruscant un vestito chiaramente giapponese, e il suo trucco così innaturale e rituale ricorda il teatro orientale; Padme è un nome sanscrito abbastanza comune (che significa "fiore di loto") e Qui-Gon vuole dire "forte" in cinese (2). La maschera di Darth Maul non ricorda solo i diavoletti cornuti dell'Occidente cristiano, ma anche i demoni dal volto colorato dell'estremo oriente. Il magnifico duello finale fra Darth Maul e i Jedi è puro teatro.
     In generale, l'intera impalcatura (che Lucas rende per la verità man mano più sfumata) dell'ideologia dei Jedi sa di disciplina orientale. Chiunque abbia fatto un'esperienza anche solo passeggera di arti marziali orientali si è sentito dire le stesse cose che dicono i Jedi. Non si tratta né di cose sconvolgentemente originali né di grandi verità, eppure uno non vede, nei film di cappa e spada, una tale puntuale sottolineatura del carattere difensivo dell'arte della spada laser, dell'importanza del distacco e della calma, della necessità di trascendere le emozioni. In un duello tradizionale, Obi-Wan avrebbe vinto perché aiutato dal dolore e dalla rabbia. Qui, invece, va vicino a lasciarci la ghirba per essersi lasciato trasportare.
     E poi c'è la strana biografia di Amidala. Lo dico (quasi del tutto) per scherzo, e sono convinta che Lucas, se pure ci ha pensato, non lo intendeva più che come un omaggio. Ma consideriamo questo personaggio:

     - È un monarca assoluto del suo popolo, ma è stato, in qualche modo, scelto in base alle caratteristiche del suo carattere e della sua personalità, non è asceso al trono per ragioni di sangue.
     - È salito al trono molto giovane.
     - È una persona mite, assolutamente pacifica, non disposta a cedere alla violenza neppure di fronte alla più grave provocazione, alla più atroce crudeltà.
     - Il suo paese è stato invaso quando aveva quattordici anni da una forza militare di gran lunga soverchiante, che procede a massacrarne il popolo e a tentare di distruggerne le tradizioni e la cultura.
     - Ha tentato a più riprese di sollecitare l'aiuto delle istituzioni democratiche internazionali perché venissero in aiuto del suo paese.
     - Le istituzioni internazionali hanno pianto con lui e fatto null'altro.
     - Veste prevalentemente di tinte calde, giallo, rosso, arancio.
     - Il suo nome contiene le lettere d, a, l, i, m, o se preferite a, m, i, d, l.

     Tutto questo sarà familiare a chi ha visto Kundun, credo.
     Coincidenze? Be', probabilmente sì. Certo Lucas vive in una zona e in un ambiente dove il buddismo tibetano, la sua storia, le sue convinzioni, la sua iconografia e il suo capo carismatico non sono del tutto ignoti.
     C'è un'importante divergenza: ad un certo punto, messa di fronte all'impotenza dei giusti e all'urgenza della giustizia, Amidala agisce. Ricorre alla forza, alla violenza, e dimostra di essere oltre a tutto anche una discreta tiratrice. Non me lo vedo un buddista di qualunque sfumatura che fa una cosa del genere. Certo, Amidala il suo pianeta lo libera. Ma chi lo sa se, nel lungo periodo, ha avuto ragione?

     Lasciar le contese del mondo e il tempo breve senza tema trascorrere

     Il che ci porta ai Jedi. Nonostante la loro straordinaria agilità, la noncurante forza e potenza, la grazia imperturbabile con cui affrontano disastri, pericoli e perfino i Toydariani interessati solo ai money, in questo film non ci fanno una gran bella figura. Inseguono l'apprendista e si lasciano sfuggire il maestro, corrono a Naboo e non si accorgono che i giochi sono stati fatti sotto il loro naso, a Coruscant.
     Ma non è una contraddizione di fondo, la loro? Se sono i custodi della pace, perché portano spade e si chiamano guerrieri? Se sono dediti così fermamente all'uso della violenza solo per difendersi, perché intervengono con la forza - nelle vicende umane? Se sono così maledettamente saggi, com'è che in migliaia di anni non hanno risolto la contraddizione insanabile fra difendere la pace e difendere la giustizia? Be', forse, come è stato giustamente detto, Lucas non ha voglia di dare Grandi Risposte, e non ha intenzione di diventare un altro Hubbard (3). Il che, secondo chi scrive, va a suo onore, anche se può deludere chi aveva riposto qualche speranza nell'ideologia dei suoi Cavalieri Jedi.
     In una delle sue liriche più terribili, a ben considerare, Bertold Brecht illustra questa contraddizione con amarezza:

        Quali tempi sono questi, quando
        Discorrere d'alberi è quasi un delitto,
        perché su troppe stragi comporta silenzio!
        (...)
        Vorrei anche essere un saggio.
        Nei libri antichi è scritta la saggezza:
        lasciar le contese del mondo e il tempo breve
        senza tema trascorrere.
        Spogliarsi di violenza,
        rendere bene per male,
        non soddisfare i desideri, anzi
        dimenticarli, dicono, è saggezza.
        Tutto questo io non posso:
        davvero, vivo in tempi bui!
        Eppure lo sappiamo:
        anche l'odio contro la bassezza
        stravolge il viso.
        Anche l'ira per l'ingiustizia
        Fa roca la voce. Oh, noi
        Che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
        noi non si poté essere gentili (4).

     Questo, nell'universo di Lucas, credo si chiami il Lato Oscuro. A pensarci bene, anche nel nostro (5).


     Apparso su Delos 50





     Note:

(1) Francesco Chiminello, comunicazione privata.
(2) Anna Mazzoldi, comunicazione privata.
(3) Francesco Chiminello, comunicazione privata.
(4) Bertold Brecht, "A coloro che verranno", in Poesie e canzoni, Einaudi 1959, trad. Franco Fortini, pag. 97.
(5) Questo articolo non sarebbe nato senza le stimolanti conversazioni con gli amici e i compagni della De Chelonian Mobile List, che ringrazio di cuore. The Turtle Moves!





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