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Gli effetti speciali e la Industrial Light & Magic
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di Barbara Caenazzo |
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Dal 1977, cioè da Guerre Stellari in poi, tutta l'opera di George Lucas fu indissolubilmente legata all'Industrial Light and Magic (ILM).
Il nucleo storico della ILM era formato da una cinquantina di persone, perlopiù tecnici, molti al primo impiego e poco più che ventenni.
John Dykstra, direttore degli effetti speciali del primo episodio della trilogia, lavorò alle scene a Van Nuys in California in una sorta di immenso scantinato trasformato in studio cinematografico, arredato con mobilio di terza mano (nella "sala di proiezione" ci si accomodava su di un vecchio materasso sfondato) sulla cui porta campeggiava l'insegna "Industrial Light and Magic unità effetti ottici e miniature".
Questa dicitura, che tra l'altro compare anche nei titoli di coda del film, riassumeva in due definizioni il compito di una realtà ben più complessa, strutturata in settori dedicati a singole categorie di effetti speciali visivi, quali modelli, pupazzi, stop motion, go motion, ripresa di miniature, matte paintings, animazione, fotocomposizione ottica, effetti sonori e, in un secondo tempo, tecnologie digitali.
Sebbene Lucas ami affermare che "la sceneggiatura è solo una vaga idea su cui girare; il film nasce in sala montaggio", l'inizio delle riprese di ogni episodio è stato sempre preceduto da uno o più anni di preparazione "a tavolino". Nello Skywalker Ranch a Marin County, una sorta di museo-laboratorio della ILM in California, sono conservati un numero impressionante di bozzetti, storyboards, schizzi, disegni, modellini e idee di ogni genere, tutti precedenti l'inizio delle riprese di ogni episodio. D'altronde si trattava di coordinare i tanti gruppi di lavoro dedicati a singole tipologie di riprese, e quello di "disegnare" l'intero film era comunque il metodo più sicuro per garantire l'omogeneità del risultato. Tenendo conto poi che un singolo particolare errato può distruggere l'illusione di un'intera sequenza, l'assoluta precisione delle indicazioni di regia era d'obbligo.
L'inizio delle riprese del primo episodio, sebbene i piani sequenza fossero stati studiati nei minimi particolari, non fu tra i più esaltanti: robot che si inceppavano, attori che contestavano le battute, esperte maestranze che non concedevano un solo minuto di straordinario, effetti speciali ancora in alto mare.
Se il film di Kubrick 2001: Odissea nello Spazio, considerato il massimo raggiungibile per effetti visivi in quegli anni, aveva richiesto solo una ventina di sequenze "truccate", Guerre Stellari si profilava come un'impresa da titani: ne richiedeva ben 170! Inoltre, i co-produttori della 20th Century Fox facevano del loro meglio per sottolineare le notevoli perplessità sulle reali possibilità d'incasso del film. Insomma, sul set si respirava davvero un'atmosfera da "Alleanza Ribelle" in lotta contro "L'Impero"!
Praticamente in tutte le sequenze erano presenti mezzi di trasporto spaziali, costati centinaia di ore di paziente lavoro ad un gruppo di bravissimi artisti, sapientemente coordinati da Lorne Peterson.
I modelli dei mezzi, tutti in scala ridotta, sono stati per la maggior parte ricavati da accostamenti di materiali di recupero piuttosto eterogenei come plastica, metallo, legno, generalmente rivestiti con pellicole di plastica e ricoperti di pezzi di parti ricavate da kit per modellismo.
Molti modelli erano forniti di piccole luci sia interne che esterne. Questo, quando compatibile col tipo di modello, evitava il surriscaldamento e il successivo scioglimento delle parti plastiche sotto i riflettori. Per limitare comunque l'inconveniente, i modelli erano forniti anche di mini-ventilatori di raffreddamento e dipinti con colori refrattari dati con spray, aerografo e pennelli sottilissimi per far sì che i pigmenti aderissero completamente alle superfici, evitando antiestetici accumuli. La tecnica più comunemente utilizzata per la loro animazione era lo "Stop Motion".
Consisteva nel posizionare il modello all'interno della scena e nel creare il movimento frame-by-frame (fotogramma dopo fotogramma), seguendo le regole di animazione usate comunemente nei cartoons.
Questa tecnica di animazione è stata utilizzata per tutte le sequenze in cui erano presenti navi spaziali o creature metalliche, come ad esempio il "Probot" del secondo episodio, riprese in situazioni singole poi sovrapposte tra loro o ad altre riprese, magari effettuate in esterna, tramite fotocomposizione ottica.
L' "optical compositing", o fotocomposizione ottica, è la tecnica che permette la combinazione di varie riprese (ottenute da matte painting, miniature, animazione, attori) per ottenere quella finale, ed utilizza solitamente il blue-screen, attraverso il quale ad una ripresa effettuata in esterno (sfondo) è possibile sovrapporre le azioni di attori o di modelli, facendole avvenire in studio e su fondo blu. Usando uno speciale filtro rosso, nella ripresa il blu risulta nero (quindi "trasparente" nel negativo, che corrisponde alla pellicola vergine). Le silhouette ottenute dal negativo della ripresa, vengono riversate sulla ripresa dello sfondo in modo da "ritagliarla"; in questo modo la nuova pellicola avrà nere (e quindi non ancora impressionate) le parti di ogni fotogramma occupate dall'azione che a questo punto potrà essere sovrapposta allo sfondo.
Proprio per velocizzare questa serie di operazioni, altrimenti molto laboriose, per L'Impero Colpisce Ancora si misero a punto due nuove attrezzature: il Quad e la Dykstraflex.
Il Quad, di Richard Edlund, è una stampante ottica, una macchina che consente di ristampare sullo stesso negativo più sequenze girate in momenti diversi: consente cioè una specie di "auto-sovrapposizione" delle sequenze, senza doverlo fare in post-produzione. Il suo uso può essere sia diretto (cioè viene montata direttamente su una macchina da presa, fornita di un dispositivo che separa direttamente le riprese) o indiretto (cioè i vari filmati vengono proiettati all'interno della macchina che li registra, sovrapponendoli).
Altrettanto importante, e fondamentale per il Quad, fu l'invenzione della Dykstraflex, di John Dykstra, una macchina da presa comandata elettronicamente in grado di ripetere all'infinito e con estrema precisione, sempre gli stessi movimenti di macchina (ad esempio, ripetere più volte una panoramica che inizia e finisce sempre ed esattamente negli stessi punti e sempre alla stessa velocità). Questo sistema combinato e coordinato elettronicamente prese il nome di "go-motion".
Le nuove attrezzature furono utilizzate per la complicata sequenza della battaglia sulla neve di Hoth degli Imperial Walkers, una specie di quadrupedi meccanici inventati da Jon Berg: sono modelli in scala ridotta mossi in un set ricostruito con fondali in matte paintings completi di nuvole, cielo e icebergs, e un campo di battaglia di neve artificiale. Per non rovinare il "manto nevoso", gli animatori hanno dovuto manovrare i modelli dall'alto per mezzo di imbragature, o uscendo da botole create apposta sul piano del set in miniatura, perché comunque, anche se con nuove tecnologie, tutta la scena è stata girata in stop motion. Per rendere verosimili i modelli, bisognava dar loro dei movimenti che ne rendessero credibili le dimensioni e il relativo peso. Per questo gli animatori ponevano dei punti di riferimento in mezzo alla neve, in modo da non muovere troppo, fotogramma dopo fotogramma, i modelli; al movimento successivo, premevano le dita sulle neve, in modo che sembrasse effettivamente che un oggetto molto pesante (gli Imperial Walker, appunto) ci avessero "marciato" sopra.
C'è poi da ricordare che, essendo riprese di scene in miniatura, si svolgono molto più rapidamente del naturale e non è quindi utilizzabile una normale macchina da presa. Si utilizza perciò una "Hight Speed Camera" che riprenda un numero maggiore di fotogrammi al secondo. Riportata la ripresa alla velocità normale, l'azione risulta rallentata e quindi più credibile.
Calcolando che per ogni secondo di ripresa ci vogliono almeno 24 fotogrammi, non parrà affatto strano che solo per questa sequenza ci siano voluti cinque mesi di lavoro ininterrotto, senza contare che a questa si sono dovuti poi sovrapporre i modelli degli airspeeder, le immagini delle esplosioni e le sequenze girate in esterna.
L'Impero ha richiesto quasi 500 fotocomposizioni ottiche contro le 380 di Guerre Stellari.
Il Quad, indispensabile per questa sequenza, ha permesso anche di girare una scena in cui il Millennium Falcon e lo Star Destroyer passano vicinissimi l'uno all'altro anche se in realtà si tratta di due riprese distinte. La scena dura solo tre secondi, ma sono stati necessari ben 95 passaggi nel Quad per completarla.
In Guerre Stellari, invece, quando la scena era particolarmente affollata, gli elementi distanti dalla macchina da presa non venivano utilizzati modelli ma fotografie di miniature incollate su vetro e mosse in "blue-screen".
La stessa tecnica di ripresa è stata comunemente usata anche per le "creature" che popolavano il mondo della trilogia. La loro ideazione partiva da piccole sculture che fornivano l'esatta idea del soggetto da produrre. La decisione successiva riguardava il tipo di movimento che doveva avere il pupazzo, se cioè sarebbe stata una miniatura mossa in stop motion, un costume indossato da un attore o una creatura mossa da un sistema elettrico. Ad esempio, gli avventori della bettola di Tatooine nel primo episodio e l'entourage di Jabba, Jabba compreso, nel terzo, erano un mix di attori travestiti con maschere di lattice e pupazzi creati da Phil Tippet e mossi da bravissimi animatori nascosti dalle scenografie dei vari set, coordinati da Frank Oz (il mago dei Muppets, nonché caratterista e regista di Hollywood, che tra l'altro da la voce al saggio Yoda N.d.C.). Così come pure il Rancor, un ferocissimo mostro carnivoro che inizialmente doveva essere rappresentato attraverso un costume indossato da un attore, fu trasformato in un modello di 70 cm di altezza, alle cui spalle una miniatura del set nascondeva ben tre animatori al lavoro.
Per far sentire tutto il peso dato dalle dimensioni che il mostro avrebbe dovuto avere, l'intera sequenza è stata girata a 72 fotogrammi al secondo. Lo spazio temporale e il ritmo dei movimenti del mostro, rallentati a 24 fotogrammi, hanno assunto così una cadenza strana ed inquietante, ma molto valida.
Resta il fatto che comunque, a mio avviso, il più bel personaggio non-umano della trilogia resta senz'altro Yoda. Yoda, che si presenta come un essere piccolo dalla pelle rugosa e verde, Maestro Jedi di 900 anni che insegnerà a Luke come servirsi della Forza, è frutto di una lunga ricerca iconografica ispirata agli gnomi e agli elfi di Santa Claus. La scultura finale, opera di Stuart Freeborn, doveva rendere palesi le caratteristiche di saggezza e sense of humour che il personaggio possiede. È stato anch'esso animato da Frank Oz: un complicato meccanismo gli consentiva di muovere, oltre agli arti e alla testa, la muscolatura facciale, le labbra, le palpebre e gli occhi.
Il pianeta del Maestro Yoda, Dagobah, è stato interamente ricostruito, come tutti gli interni, presso gli Elstree Studios di Londra e ha richiesto il lavoro di centinaia di tecnici. È costituito da una piattaforma rialzata di circa un metro dal pavimento dello studio, addobbata di strutture mobili adattabili a seconda delle esigenze. Gli alberi sono alti 1,20 metri e hanno una circonferenza di circa 3 metri; sono costruiti in tubi Innocenti e rete metallica, ricoperti di stucco e dipinti. Il tocco finale è dato dal gran numero di piante rampicanti che furono raccolte nei campi attorno agli studios.
A proposito di "creature", non si possono non menzionare i simpatici Ewoks. Qui però Lucas superò davvero se stesso, perché quei buffi orsetti non erano, come forse qualcuno ha pensato, dei capolavori di tecnologia di animazione, ma costumi indossati da un intero cast di bravissimi attori nani esaminati e scritturati da Lucas in persona! Ebbero un tale successo di critica e di pubblico da divenire in seguito protagonisti di altri due film (successo di critica davvero no, ndDC).
Durante le riprese della trilogia, si verificò che alcune scene risultassero troppo grandi e troppo costose per essere realizzate, ad esempio gli interni della nave di Darth Vader, oppure che le riprese effettuate in esterni non fossero sufficienti a coprire la durata di alcune sequenze, come successe con la scena riguardante il pianeta Hoth, girata a Finse, in Norvegia, dove la troupe dovette fronteggiare tormente di neve, rischi di congelamento, raffiche di vento fortissime e pericolo di valanghe.
In questi casi, Lucas ricorreva al dipartimento di pittura coordinato da Craig Barron, dove gran parte della scena veniva dipinta su vetro (matte painting e pittura opaca), lasciando la trasparenza nei luoghi dov'era previsto che si svolgesse l'azione. Ponendo il vetro tra la macchina da presa e il set che quindi veniva costruito solo in piccola parte, era possibile riprendere l'azione reale attraverso il vetro, completando così l'immagine. Nei casi più complessi, era possibile sovrapporre in post-produzione le riprese e le matte paintings utilizzando anche il blue-screen.
Queste "matte painting" sono delle vere e proprie opere d'arte di notevoli dimensioni (anche qualche metro di larghezza), che in alcuni casi raggiunsero gradi di straordinario realismo, come nel caso delle riprese esterne di Bespin, la città delle nuvole del secondo episodio, set che in realtà esiste solo su vetro; oppure, nel terzo episodio, l'impressionante schieramento di truppe imperiali all'interno della Morte Nera che accolgono l'Imperatore e Darth Vader al loro arrivo: nel set in realtà erano presenti solamente 200 comparse; il resto è una straordinaria matte painting dipinta da Chris Evans. Un attento calcolo della posizione e della riflessione della luce sul set, unito ad una straordinaria capacità manuale dell'artista fanno di questa scena un esempio di non-set, se così si può definire, davvero incredibile e l'inganno non è riscontrabile dallo spettatore nemmeno ad un attento esame del fermo-immagine (provare per credere!).
Se tutto quanto detto fino a qui non fosse sufficiente a chiarire perché, malgrado tutto quello che è stato detto e scritto, la Trilogia è stata ed è tuttora considerata un punto fermo nella storia del cinema e degli effetti speciali, risulta allora utile ricordare che Guerre Stellari fu il primo film la cui colonna sonora (rumori compresi) fu registrata in Dolby System.
All'inizio della lavorazione fu ingaggiato il miglior fonico sulla piazza: Ben Burtt. Solo per dare la voce a R2-D2 impiegò quattro mesi. Vennero scartate varie soluzioni prima di trovare quella giusta: lo stato d'animo del droide doveva risultare evidente dal tono della voce; la battuta doveva essere trascritta in una lingua inarticolata, e il tono lavorato in modo che si intuisse il senso della frase.
Il linguaggio di Chewbacca è nato da un misto di versi di tricheco, orso e altri sette animali, tutti mescolati e sintetizzati elettronicamente. La lingua dei jawa, gli "spazzini del deserto" del primo episodio deriva invece da alcuni dialetti africani, mescolati e successivamente manipolati su nastro magnetico.
Anche su Darth Vader, Burtt dovette lavorare molto. Mise a punto una gamma di diciotto diversi tipi di respiro affannoso, per trovare quello desiderato (l'armatura che riveste Vader è una sorta di polmone d'acciaio e Vader, che ha il viso devastato, è costretto a portare quella maschera per poter respirare); Darth Vader fu inoltre caratterizzato da una "doppia voce", datagli in post-produzione da James Earl Jones.
Per mettere a punto gli effetti sonori, dalle esplosioni alle voci, sono stati necessari quasi due anni ininterrotti di lavoro.
Parlare di queste tecniche ancora "artigianali", della loro complessità e dei lunghi tempi di realizzazione può sorprendere non poco lo spettatore abituato alla moderna tecnologia digitale. Con il termine "tecnologia digitale" si intende comunemente la possibilità di ricreare intere scene con un computer, compresi il movimento e le situazioni di luce.
Il computer era già stato usato in passato, ma la rivoluzione è iniziata da Toy Story, film interamente costruito con l'animazione in 3D e riversato su pellicola con ottima definizione.
La struttura di ogni singolo fotogramma è costruita al computer, compreso l'inserimento di personaggi e oggetti in movimento (utilizzando per il disegno modelli collegati al video tramite sensori o modellando direttamente al computer). Successivamente vengono definite le texture (cioè le superfici e i colori di ogni singola parte). L'immagine definitiva viene quindi inserita nella pellicola del film, creando un insieme molto realistico.
Questo nuovo mezzo di illusione, che attualmente sembra strumento indispensabile in qualsiasi film, all'epoca di Guerre Stellari era assolutamente inutilizzabile, sia per le possibilità, ancora limitatissime, dei software all'epoca esistenti, sia per i costi altissimi delle apparecchiature, sia per la bassissima definizione delle immagini allora ottenibili, che certo non si sarebbero potute riversare su pellicola con qualità apprezzabile.
Eppure Lucas non trascurò affatto la possibilità di utilizzare gli studi su queste "macchine intelligenti" per ottenere effetti ed immagini difficilmente creabili anche con le sofisticate tecniche meccaniche in uso alla ILM, tanto che commissionò alla Triple I (Information International Incorporated) la realizzazione di una sequenza da inserire ne L'impero colpisce ancora in cui cinque caccia X-Wing volavano in formazione. L'accordo saltò per motivi economici, ma i risultati convinsero Lucas che la grafica computerizzata era oramai applicabile al cinema.
L'abitudine ad investire i guadagni in tecnologie all'avanguardia e in messe a punto di nuove attrezzature, gli consentì di raggiungere presto il suo scopo e, nel 1983, inserì in una sequenza de Il Ritorno dello Jedi l'ologramma della Morte Nera in costruzione realizzato dai ricercatori del New York Institute of Technology diretti da Ed Catmull (laureato in fisica, realizzò, nel 1968, la prima animazione digitale tridimensionale: la sua mano che si apriva e si chiudeva): il risultato fu grandioso.
Le dirette conseguenze di questa "audace sperimentazione", come Lucas stesso ama definirla, sono presto dette: Lucas possiede, con la ILM, la più formidabile struttura per la realizzazione di effetti speciali digitali esistente al mondo e controlla la LucasArts, una delle prime quattro produttrici di video giochi e CD-ROM negli Stati Uniti.
D'altronde, l'utilizzo della tecnologia digitale per lui non è mai stato altro che un ulteriore strumento di creazione con il solo fine di visualizzare le immagini che lui aveva in mente e che in passato erano spesso concretizzate dal laboratorio di pittura in cui hanno lavorato professionisti come Ralph McQuarrie, Frank Ordaz e i già citati Chris Evans e Craig Barron.
Non sarà quindi difficile capire il perché dell'operazione "Special Edition" della trilogia: al di là di quella che può essere considerata un'operazione pubblicitaria di lancio per i nuovi episodi, bisogna ricordare che Lucas non ha mai considerato conclusi i suoi tre film; li ha piuttosto presentati in versioni "accettabili" nell'attesa che la tecnologia gli permettesse di realizzare quel che negli anni '80 era solo un sogno, e di perfezionare sequenze realizzate straordinariamente, visti i mezzi allora disponibili, ma per lui non soddisfacenti.
Ecco allora l'aggiunta o il restyling di intere scene, cosa che ha spinto molti fan a riesaminare con occhio vigile le due versioni della trilogia, per scoprire particolari aggiunti, modificati o semplicemente "ripuliti" che potessero essere sfuggiti anche alle recensioni più analitiche.
Non si può certo dimenticare che anche il suono è stato coinvolto da questo "restauro". Dalla registrazione Dolby System (abbiamo già visto come Guerre Stellari sia stato il primo film la cui colonna sonora fu interamente registrata con questo sistema) si è passati al Digital Dolby: ovvero dalla riproduzione stereo in sala cinematografica proveniente da due casse ai lati dello schermo si è passati ad un sistema che prevede più punti di riproduzione del suono da due lati; da una situazione di suono realistico, si è passati alla rivoluzionaria sensazione di trovarsi "dentro" il suono digitale.
C'è chi sostiene —e Lucas è fra questi— che il cinema del futuro non sarà più vincolato a set costruiti, ad attori in carne ed ossa, alla pellicola; sarà sempre più un cinema digitale, una specie di raffinato videogioco in cui set e attori saranno frutto del calcolo matematico di un sofisticato computer e di un bravo tecnico CGI (computer graphic images).
Ecco allora che, in piena Era Digitale, ritrovarsi a raccontare che la luce delle spade laser, delle pistole laser, dei duelli e delle esplosioni di tutte le battaglie della trilogia sono stati aggiunti in post-produzione, disegnati (a mano!) e sovrapposti alle scene girate a 300 fotogrammi al secondo, animati con le comuni tecniche di animazione dei cartoons, e che per ogni scena "normale" si oscillava tra i 40 e gli 80 elementi separati (oggetti, creature, navi spaziali, etc.) da unire poi in sala di montaggio, per arrivare nelle scene di battaglia, fino a 300 elementi separati, una mole di lavoro che ha gravato sulla ILM per mesi, oggi come oggi è un po' come parlare di George Melies e del suo Le Voyage dans la Lune del 1902: cine-preistoria.
Eppure la trilogia di Guerre Stellari rimane straordinaria sul piano degli effetti speciali: lo fu per il pubblico dell'epoca come lo è ancora per lo spettatore di oggi.
Straordinaria per le innovazioni che ha portato all'interno della macchina cinematografica di Hollywood (tutti e tre gli episodi vinsero l'Oscar per gli effetti speciali); per la poesia visiva dei luoghi in cui è ambientata la storia, non esistenti ma realistici, luoghi di un futuro (o di un passato?) non lucido e scintillante, ma opaco, "usato" e per questo più credibile e, in un certo senso, più familiare; per la presenza di due robot, C1-P8 e D-3BO, rappresentanti di una categoria cui una volta tanto non sono stati assegnati ruoli secondari e da "cattivi" ma ruoli comici, da "spalla", tanto da farli diventare veri e propri protagonisti all'interno della saga, quasi un simbolo distintivo, cosa che poté avvenire solo grazie all'espansione del settore degli effetti speciali e alla fantasia visionaria e geniale di George Lucas.
Apparso su "Guida completa a Star Wars: da Guerre Stellari a La Minaccia Fantasma", Falsopiano, 1999
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