Mappa del sito Aiuto



Riflessioni su "Il ciclo di Star Wars e il Ring wagneriano" di Kristian Evensen

di Chiara Marino


     Il notevole saggio di Kristian Evensen che va ad affiancarsi, per completarlo, a Il Mito allo specchio, inerente le medesime tematiche, costituisce un'interessante quanto ricca fonte di meditazione sul modo di recepire due dei più importanti cicli epici della modernità (1).
     Evensen analizza il Ring e Star Wars da un punto di vista strutturale, conducendo il discorso sul duplice piano narratologico e musicale. Alcune sue affermazioni risultano altamente illuminanti - come il parallelismo Anello/Death Star quali simboli di potere (sebbene l'accostamento Walhalla/Death Star risulti più pertinente) o la puntualissima analisi sui modi operandi di Wagner e di Lucas e sui risultati delle loro fatiche. Di gran valore anche gli esempi musicali, supportati da argomentazioni stringenti e tecnicamente agguerrite.
     Eppure il saggio non manca di alcune affermazioni che lì per lì lasciano perplesso il lettore starwarsiano che sia anche un buon conoscitore del ciclo nibelungico. Senza nulla togliere alla legittimità delle vedute personali - ove queste siano presenti all'interno di un discorso di per sé giustificato e mai arbitrario - ci troviamo nella condizione di dover contestare alcuni passaggi che non ci sembrano rendere giustizia né a Star Wars né al Ring.
     Con queste dichiarazioni d'intenti, poste a mo' di premessa, non pretendiamo affatto depauperare il discorso di Evensen, bensì di farne emergere alcune affermazioni che appaiono un po' troppo drastiche, se non addirittura fuorvianti. Naturalmente, se il signor Evensen troverà di che contestare le nostre tesi contrarie, saremo ben lieti di intavolare con lui una discussione che, senza dubbio, condurrà a risultati interessanti e costruttivi.

     L'autore si premura innanzitutto di sottolineare l'aspetto commerciale di Star Wars, prodotto hollywoodiano che difficilmente può assurgere agli onori dell'Arte. Ora, ammesso che Star Wars sia un prodotto dell'industria cinematografica ufficiale, e non la creazione di un indipendente che utilizza Hollywood come un mezzo e non come un fine, ci si dovrebbe porre il quesito d'obbligo se il cinema stesso sia vera arte. Se sì, come distinguere allora le pellicole artistiche da quelle di mero consumo? Forse, dalla quantità e dalla durata delle scene mute, dall'ellissi narrativa, dalla profondità dei temi trattati? In quest'ottica balza evidente l'eterno confronto tra Star Wars e 2001 o Star Wars e Blade Runner - inutile quanto l'accostamento tra Ariosto e Dante. Entrambi questi autori hanno dignità artistica, entrambi sono lo specchio di due mondi ed entrambi portatori di messaggi diversi tra loro, ma ugualmente validi e legittimi (2). Parimenti, Star Wars e il Ring si rapportano l'un l'altro più per similarità che per contrasto. Entrambi sono cicli creati in epoca moderna sulla base di narrazioni mitiche le cui radici affondano nella notte dei tempi: il Ring, paradigma e vetta del Romanticismo filtrato attraverso il pessimismo cosmico di Schopenhauer; Star Wars, pastiche che riassume in sé - come una perfetta, mirabile enciclopedia - tutti i miti del mondo e tutte le aspirazioni di una generazione che, tramite la rivolta, spera in un mondo multietnico e transculturale dove sole regnano libertà e giustizia. Che poi in un lavoro si scelgano come mezzo la parola cantata e la musica, nell'altro la parola parlata, non è che il duplice aspetto della medesima medaglia: l'opera d'arte figlia del suo tempo che parla ai contemporanei e, in virtù della pregnanza dei suoi contenuti, anche ai posteri. Tale è la natura dei classici, di classici come appunto il Ring e Star Wars.
     Con queste premesse è naturale riflettere su chi possa essere il fruitore dell'opera. Semplificando, si potrebbe dedurre che il Ring - opera d'arte "alta" - sia appannaggio di pochi eletti intenditori, mentre Star Wars - opera d'arte "bassa" - debba rivolgersi soltanto ad un pubblico giovanile, ingenuo e di media cultura. Nulla di più errato. La vera opera d'arte è universale e parla a tutti, senza distinzione di età, di livello culturale o sociale. Non tutti coloro che siedono in teatro per assistere ad una rappresentazione dell'Oro del Reno devono essere necessariamente dei musicologi o dei critici d'arte, così come il pubblico di Star Wars non è costituito soltanto da alunni delle medie o da romantici fruitori di opere d'evasione.
     Ed è qui che ci colleghiamo alla seconda delle affermazioni confutabili di Evensen, precisamente quella in cui dice - sia pure in altri termini - che Star Wars è tra gli assi pigliatutto della storia del cinema, mentre il Ring sembra non aver mai registrato profitti ragguardevoli in occasione delle sue messe in scena. Noi diremo: e chi lo sa? In passato ci sono stati degli allestimenti del Ring che hanno fatto epoca, sia a Bayreuth (un esempio per tutti, quello di Patrice Chéreau del 1983), sia fuori Germania, addirittura fuori Europa (la bellissima, per certi versi esemplare versione del Metropolitan del 1990, documentata da laser disc, videocassette e CD). Indubbiamente, almeno nei due casi citati, i bilanci di botteghino saranno andati almeno in pari e la vendita continua delle edizioni audiovisive ricavate comprova il fatto di un successo (anche economico) duraturo. In secondo luogo, il Ring è tra le opere di Wagner più amate anche dai non appassionati e le sue "giornate" (ossia "episodi", per adottare una terminologia di tendenza) vengono rappresentate con il "tutto esaurito" anche al di fuori del ciclo completo a riprova, ancora oggi e sempre, della loro capacità di comunicare messaggi validi.
     Si tenga presente questo particolare: non si deve - o, almeno, non si dovrebbe - commisurare il valore di un'opera d'arte sul suo successo al botteghino. Lo si fa, purtroppo, in tempi di massificazione e di mercificazione culturale, ma è un'abitudine esecrabile. Si consideri l'arte per quello che essa è, cioè una creazione dell'ingegno, senza il pensiero recondito di farne una fonte di lucro.
     Arte "alta" e arte "bassa", dicevamo. Evensen dichiara: "Star Wars può mancare l'approccio analitico dell'opera waneriana" e, più avanti: "Nel Ring tutti i personaggi risultano complessi e mostrano lati sia positivi che negativi... In Star Wars tutti i personaggi appaiono piuttosto semplici e generalmente palesano lati o solo positivi o solo negativi", concludendo che, mentre il ciclo wagneriano è un racconto complesso di Bene e di Male, la saga di Star Wars è anch'essa una vicenda di Bene e di Male, ma a valenza semplice. Noi non siamo affatto d'accordo su questo che, a parer nostro, costituisce il passaggio più discutibile del pur eccellente lavoro di Evensen.
     Ad essere provocatori, potremmo affermare esattamente il contrario, salvo poi peccare di scarsa obiettività: che cioè sono i protagonisti wagneriani ad apparire piuttosto monolitici. In realtà, in entrambe le saghe tutti i personaggi, salvo rare eccezioni, evolvono non soltanto nell'arco dell'intero ciclo, ma anche all'interno dei singoli episodi o giornate. È vero che Hagen, lo shakespeariano protagonista del Crepuscolo degli Dèi è Male allo stato quintessenziale al pari di Jago - una figura che non conosce ripensamenti o rimorsi e che persegue il proprio fine senza badare ai mezzi impiegati. Ma è un'eccezione, come può esserlo Erda - la Madre Terra che rappresenta l'immutabile natura, estranea ad ogni conflitto umano e divino - o demoni elementari come Loge, il fuoco. Quasi tutte le altre figure del Ring sono tormentate da dubbi e da angosce; conoscono impeti di generosità, trasporti appassionati, collere devastanti.
     Per quanto riguarda Star Wars, il discorso è esattamente lo stesso. Accanto a figure monocordi perché non direttamente coinvolte nello sviluppo della narrazione, appaiono esempi eccelsi di evoluzione più o meno percepibile: Darth Vader si trasforma, senza che neppure ce ne accorgiamo, da New Hope a Empire, e in particolar modo all'interno di quest'ultimo episodio. Lo ritroviamo in ROTJ lacerato da tormenti inespressi che ci rendono ancora più partecipi della sua tragica vicenda.
     E come non ricordare la continua trasformazione di Luke, da giovane ingenuo che aspira a più vasti orizzonti ad eroe di una battaglia risolutiva, a Jedi eletto ed infine a campione del Bene nell'ultimo conflitto contro il Male assoluto, rappresentato dall'Imperatore. Evolve anche Han Solo, non dimentichiamolo, ed in modo clamoroso, pur restando fedele al proprio scanzonato cinismo.
     Ma in Star Wars ci sono degli esempi di ambiguità che da soli basterebbero a fare della saga un lavoro tutt'altro che piatto. Pensiamo al machiavellismo sornione di Obi-Wan, allo sfuggente comportamento di Lando, alle reticenze di zio Owen - particolari che, accrescendo la tensione narrativa, preparano a soluzioni inaspettate.
     Dire quindi che Star Wars è una storia "semplice" di Bene e di Male è inesatto, oltreché limitativo (3). Epopee moderne, Star Wars e il Ring si pongono come opere che superano il Mito, i protagonisti del quale non evolvono in quanto rappresentazioni di aspetti umani e non-umani fissati nel tempo. Superare il Mito significa entrare nella sfera della narrazione lineare e non più circolare, delle vicende che compiono un cammino preciso da un punto dato ad un punto situato in posizione diametralmente opposta: siamo al romanzo cavalleresco, ai racconti della queste - della ricerca di un qualcosa verso cui convergono, come fine ultimo del dettato narrativo, tutte le ragioni dell'agire. Altrimenti non poteva essere per due lavori che inscenano le inquietudini della nostra epoca sotto la patina di remota antichità.
     Per cogliere ogni minima sfumatura dei vari personaggi dei due cicli, sarebbe opportuno assistere a rappresentazioni integrali e non frammentate nel corso di mesi od anni, come purtroppo avviene per il Ring nella maggior parte dei teatri. In questo modo, non solo risulterebbe più evidente la compattezza formale dell'opera e la coerenza psicologica dei protagonisti delle vicende, ma sarebbero anche più facili da cogliere le affinità tra Vader e Wotan, tra Luke e Siegmund/Siegfried (4).
     Ultimo punto da affrontare è la seguente dichiarazione di Evensen: "Non sappiamo se Williams avesse familiarità con il Ring all'epoca della composizione della propria brillante partitura per Star Wars e gli episodi seguenti". Parole che suonano alquanto azzardate. Willliams è un compositore dalla solidissima formazione classica, ma - anche se così non fosse - nulla gli vieterebbe di conoscere l'opera di uno tra i più grandi riformatori del discorso musicale. Che la si accetti o che la si respinga, non si può prescindere dalla lezione wagneriana: senza il Tristano non esisterebbero Schoemberg, la dodecafonia e le sperimentazioni armoniche del Novecento.
     Williams aveva, al tempo della composizione di Star Wars come oggi, familiarità con il linguaggio wagneriano. La tecnica del leitmotiv da lui adottata è troppo puntuale ed evidente per essere casuale e il motivo della Forza risulta troppo palese derivazione dal motivo di Siegfried per non costituire un consapevole omaggio all'autore del Ring. I risultati della sperimentazione williamsiana li conosciamo tutti: una musica di scena, più che una colonna sonora propriamente detta, che è, proprio come in Wagner, narrazione invisibile e rappresentazione dell'inconscio dei personaggi - personaggio essa stessa che narra quel che la storia tace.

     Al termine di queste note, che non pretendono minimamente di costituire dogmatica verità, vogliamo soltanto far rilevare che se, a distanza di tanti anni - e, nel caso del Ring, di più di un secolo - siamo qui a discutere su vari aspetti di due tra i massimi capolavori dell'umanità, ciò avviene perché questi ultimi hanno ancora molto da dirci. Il discorso su di essi non sarà mai esaurito, mai sufficientemente compiuto - a riprova che l'arte, se è Arte, susciterà sempre dibattiti magari accesi, certamente appassionati, però mai sterili.




     Note:

(1) L'altro è The Lord of the Rings (Il Signore degli Anelli), che però è fuori questione nell'economia di queste pagine.
(2) Si potrebbe discutere all'infinito sull' Ariosto in quanto poetica ludico. Il suo Orlando furioso è un poema d'evasione, certo: non dimentichiamo che esso è, esattamente al pari di Star Wars, l'erede e la summa di una tradizione vecchia di secoli (l'epica cavalleresca) se non di millenni (i richiami alla tradizione letterario-mitologica greca e latina).
(3) La presunta semplicità dei personaggi di Star Wars è contestabile già per quanto concerne la Trilogia classica, e lo diviene ancora di più nell'ottica dell'Esalogia. Evensen paragonava il Ring a metà di Star Wars. Come è possibile chiamare semplici Anakin/Vader o Obi-Wan Kenobi, protagonisti di sei storie di un ciclo, durante le quali maturano, si trasformano, compiono errori, mascherano la verità, commettono crimini, si sacrificano? e Luke, con la sua evoluzione? Possono definirsi semplici? È questo il pedaggio da pagare per condurre l'opera di Lucas al confronto con quella di Wagner? Il prezzo è porle su gradini diversi di una scala di valore? Se è così, da questi aspetti del lavoro di Evensen dobbiamo dissociarci (NdDC).
(4) Luke deriva anche da un altro personaggio wagneriano: Parsifal, protagonista dell'opera omonima. Per ogni approfondimento in materia, rimandiamo al saggio Il Mito allo specchio nella sezione Influenze/Radici culturali del presente sito.





Mappa del sito

torna a Radici culturali

Salva

Aiuto

Cerca