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Prescelto per la Trasgressione
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di Davide Canavero |
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Probabilmente ci rifiutiamo di credere che in tutti noi ci sia qualcosa di Anakin Skywalker; non di rado ben più di "qualcosa". Conoscendo l'esito della sua parabola inorridiamo al solo pensiero di essere accostati a lui, e ci rassicura il fatto che l'eroe mitico è un essere semidivino, col quale non abbiamo molto da spartire. Eppure tra il Prescelto che si danna e noi comuni mortali non esiste affatto l'abisso che di primo acchito ci illudiamo di scorgere.
Dinanzi alla tentazione e al peccato —anche al desiderio di compiere il più feroce dei crimini— nessuno di noi è immune. Se di pochi è la colpa, di tutti è la tentazione.
Bisogna ammettere che la complessità della figura di Anakin ne L'Attacco dei Cloni si assesta su livelli non trascurabili di approfondimento psicologico. Più di ogni altro aspetto ci piace evidenziare come la sua vicenda sia caratterizzata da quella stessa poliedricità che informa anche la nostra vita.
Mi riferisco alla sfera della colpa, perché la vicenda di Anakin è una vicenda di colpa, di "peccato", di cedimenti, di dannazione; e di redenzione, certo, ma solo in prospettiva, non nella parte della storia che prendiamo in esame, la prima trilogia.
L'idea forte e verace nei Prequel è che Anakin non è semplicemente cattivo fin dalle origini. Non nasce malvagio. Anzi, il piccolo Anakin visto in Ep1 era addirittura un bambino altruista, un cherubino biondo i cui tratti angelici non sono certo frutto del caso, bensì di una precisa scelta: Lucifero era il più bello e nobile degli angeli, all'inizio. Il piccolo Ani è un angioletto e nella ragazza di cui si invaghisce vede subito, a sua volta, un angelo.
A costo di deludere le aspettative di chi voleva il Male in azione fin dall'inizio della storia, Lucas ha perseverato nella propria visione. Teneva molto a fare di questa idea un asse portante dei Prequel: malvagi si diventa, non si nasce, eccezion fatta per il Maestro Sith; ma quello è un simbolo del male cosmico, un altro aspetto di Lucifero, colto non nel momento del suo tradimento ma nella sua condizione statica e iconica, fuori dal tempo. La sua corruzione è primordiale, remota, atemporale: la storia lo mostra come Male Assoluto, ormai fissato in questa condizione. Non ci interessa più né il quando né il come.
Invece la parabola di Anakin —un "eroe" sostanzialmente umano che nel flusso del tempo è inserito— è quella tragica che conduce dalla luce benefica dell'infanzia all'oscurità tetra dell'età adulta, passando attraverso una serie di tappe intermedie.
"Come e perché" è la domanda che aleggia su questa fase di transizione dove tutto si decide, ed è la domanda alla quale l'autore della saga è tenuto a dare una risposta valida e all'altezza del mito che ha creato; pena, il crollo dell'impianto narrativo dei Prequel.
La risposta non si rintraccia nella sola interiorità del protagonista; per questo è lecito parlare di una complessità che è specchio della vita. Come nella vita vera, non conta solo il libero arbitrio, che pure ha l'ultima parola nell'orientamento etico, è fuor di dubbio; contano anche le circostanze e le persone che accompagnano l'individuo che si affaccia sui lidi del male.
Circostanze e persone possono di volta in volta agire da attenuanti o da aggravanti; l'unico dato certo è la portata della loro influenza sul cammino del protagonista, che non è mai (eroe o borghese che sia) un'individualità isolata.
Sgombrando il campo da equivoci, va detto che Anakin è in ultima analisi responsabile delle proprie scelte specifiche e finali, come ogni altro essere senziente. Tuttavia le persone che circondano il ragazzo si spartiscono il resto della responsabilità.
Cominciando da Padmé, rea di non aver saputo frenare le passioni di Anakin ed anzi averle talvolta assecondate; e di non aver saputo utilizzare il proprio amore come deterrente contro il degrado spirituale. La ragazza non ha fatto abbastanza per correggere i passi dell'amato e indirizzarlo al bene. Il suo errore è stato compatire troppo Anakin, troppo scusarlo e assecondarlo.
Curiosamente Padmé ha fallito sia nel frenare la decadenza della Repubblica (per la quale tuttavia ha fatto il possibile, forse) sia nel frenare la caduta di Anakin.
E questa "Trilogia degli sconfitti" è un tema sublime, che come sempre Lucas non sa sfruttare che in parte a livello espressivo.
Il maestro Obi-Wan, poi, la cui colpa è stata quella di accettare l'addestramento di un padawan quando era troppo giovane e motivato quasi solo dalla volontà di mantenere la promessa fatta a Qui-Gon Jinn in punto di morte. Inoltre, egli è reo di non aver saputo indirizzare Anakin al bene con la propria autorevolezza.
Il Consiglio Jedi infine, con le sue gravi responsabilità: Mace Windu in particolare e Yoda in parte, per aver commesso la grave imprudenza di affidare all'inesperto Obi-Wan (forse decisi a rispettare la memoria di Qui-Gon) non un normale padawan ma uno troppo vecchio, già attaccato a precedenti affetti, e per di più dotato di poteri eccezionali tanto da far pensare alla Profezia sul Prescelto. Un simile potenziale avrebbe dovuto essere messo sotto il controllo di Yoda stesso; e neanche in quel caso le garanzie sarebbero state assolute. Yoda era contrario, ma il Consiglio approvò.
Anni più tardi, il Consiglio commette un'altra imprudenza, una follia: affidare ad Anakin la protezione della senatrice Amidala, che da bambino aveva già conosciuto e alla quale si era legato affettivamente: farli partire da soli, a stretto contatto, è come accendere una miccia.
Mace Windu non pone freni all'addestramento di Anakin: dopo un primo rifiuto ad accogliere il piccolo tra i Jedi perché troppo cresciuto, dalla battaglia di Naboo in avanti il maestro Windu dà l'impressione di assecondare Anakin in ogni sua ambizione. Yoda, invece, è maggiormente conscio del pericolo dell'arroganza, dell'eccessiva sicurezza di sé, un ammonimento valido anche per i maestri più esperti.
Ciononostante, nulla può da solo, quando la saggezza ha abbandonato i Jedi.
Ma, si è detto, il responsabile ultimo delle proprie scelte è solo Anakin stesso.
Se analizziamo il comportamento del ragazzo da un punto di vista educativo e con una certa dose di severità, ci accorgiamo di quante e quali scorrettezze egli compia. In parte sono riconducibili all'irruenza giovanile, naturale e incolpevole; ma come dimenticare che un padawan di vent'anni non dovrebbe essere un normale inquieto ragazzo di vent'anni, bensì un giovane guerriero e asceta temprato e fortificato interiormente fin dalla più tenera età?
Ci sono delle falle, dunque, nella formazione di Anakin, dovute sia all'anormalità del suo reclutamento (troppo vecchio, troppo legato alla madre), sia all'inadeguatezza del suo pur bravo maestro a tenere testa al Prescelto.
Anakin non sa stare al suo posto, è smanioso, immaturo, arrogante, mette in discussione l'autorità del suo mentore, presume di essere più bravo di lui, non ha autocontrollo, non sa tenere a freno le passioni, le lascia erompere sistematicamente. Compie continue infrazioni del codice Jedi (come vedremo tra poco) e viene meno di continuo al proprio dovere; più una serie di altri comportamenti censurabili, comunque rubricabili alla voce "eterodossia". Perché di un jedi non ortodosso in fin dei conti si tratta.
Passiamo brevemente in rassegna tutte le scorrettezze dell'irruento padawan. Qualcuno, poco attento all'importanza delle azioni e delle parole, è tuttora deluso da Anakin, forse perché non lo ha ancora visto uccidere a destra e a manca dall'inizio alla fine.
Sbagliato.
Non è così che si mostra un uomo scivolare verso il male. Si scivola per piccoli passi, piccoli atteggiamenti, piccole infrazioni che allargano sempre di più la strada dell'immoralità, cosicché ne passano di sempre maggiori, come recita un vecchio adagio della tradizione rabbinica.
Di questa gradualità, di questo impercettibile disgregarsi della rettitudine morale, Lucas, pur nei gravi limiti artistici della sua opera -limiti espressivi- ha fatto un ritratto perfetto e credibile; almeno per chi sa cogliere i dettagli e i gesti non sempre clamorosi. Star Wars, come i più saggi hanno capito da tempo, non è un baraccone. Ma si vede che qualcuno continua ad aspettarsi solo azioni roboanti.
Lo scavo di Lucas nell'animo che si danna è penetrante e non appariscente.
Ecco dunque i piccoli e grandi passi di Anakin nella sua danza oscura. Poiché molti di essi sono apparentemente trascurabili rischiano di passare inosservati, ma è proprio l'abbassarsi della guardia sulle piccole cose a spianare la strada ai grandi cedimenti; ed è precisamente quel tratto che tutti abbiamo in comune con Anakin, nel nostro piccolo.
• contesta sfacciatamente a Obi-Wan il modo di proteggere Amidala, stabilendo di testa sua che si debba anche indagare, come poi effettivamente farà ignorando i comandi del maestro
• ruba un airspeeder di lusso ad un senatore (ma questa gliela possiamo perdonare senza esitazioni perché nella concitazione dell'emergenza ci sta tutta)
• fa pazzie nell'inseguimento disubbidendo a Obi-Wan, e dando segno di immaturità
• scherza dicendo con superbia (per ora solo scanzonata, ma molto presto autentica) di aver già eguagliato il maestro Yoda; sembra una battuta... ma non lo è
• aggredisce e minaccia Zam Wesell perdendo la calma perché c'è di mezzo Padmé
• mette in discussione l'atteggiamento di Obi-Wan nei suoi confronti parlando con Padmé, accusando davanti a lei il maestro di impedirgli di progredire, in maniera irresponsabile e indelicata
• durante il viaggio inizia a cedere alla passione piegando il codice Jedi per giustificare la liceità del suo amore per Padmé, che altro non è se non -appunto- l'attaccamento che è proibito...
• insuperbisce litigando con Padmé nella sala del trono a Naboo, pensando di poter essere arbitro unico della sicurezza di lei
• espone idee politiche filodittatoriali facili, che cedono subito alla tentazione semplicistica e comoda dell'"uomo forte"; idee come quella di costringere la gente a seguire i dettami del potere, che certo male si sposano con l'etica di pace dei Jedi
• abusa dei propri poteri Jedi per delle sciocchezze totalmente frivole come passare il cibo tagliato all'amata, ammettendo senza problemi che, se lo vedesse usare la Forza così, Obi-Wan si arrabbierebbe molto
• cede definitivamente alla passione violando apertamente il codice, non si frena, bacia l'amata e dopo confessa il suo sentimento secondo la topica universale dell'amore, inclusa la "sintomatologia" passionale tipica di 3000 anni di letteratura (da Saffo in poi, tremori e "soffocamenti"...), come un qualunque adolescente innamorato - mentre non dovrebbe essere come gli altri
• propone a Padmé di tenere il loro amore segreto, come ulteriore scappatoia per poter perseverare nel suo abbandono alla passione, senza rinunciare né alla ragazza né ai Jedi, tenendo, come si suol dire, il piede in due staffe
• sentendo in sogno la sofferenza della madre compie un'altra infrazione, sottraendosi al proprio compito per motivi personali: lascia Naboo contravvenendo agli ordini; ma Padmé lo segue, assecondandolo
• giunto su Tatooine intimidisce Watto per scoprire al più presto dove si trova la madre Shmi, non incarnando certo la mitezza e il senso della pace dei Jedi
• usa freddezza nei confronti della famiglia Lars, ennesimo atteggiamento poco Jedi
• compie un'ulteriore imprudenza lasciando Padmé dai Lars per cercare sua madre, ritenendo che la senatrice lì sia al sicuro; in ogni caso viene meno ancora al suo dovere di proteggerla
• stermina un intero villaggio di predoni tusken non certo per legittima difesa o in battaglia, ma per pura e semplice vendetta: maschi, donne e bambini, l'azione più clamorosamente malvagia finora compiuta
• col cadavere della madre in braccio trapassa con lo sguardo i membri della famiglia Lars accusandoli tacitamente di essere corresponsabili della morte di lei, presumendo che non abbiano fatto abbastanza
• parlando con Padmé, attribuisce a Obi-Wan parte della colpa, perché lo terrebbe bloccato per invidia
• sempre davanti a Padmé, si abbandona a un delirio di onnipotenza, pensa di dover diventare il più potente Jedi di sempre, di arrivare a impedire che la gente muoia, e dunque decidere della vita e della morte degli altri ("non essere troppo ansioso di elargire morte" gli avrebbe detto Gandalf): salvare chi ama, quindi, ma anche distruggere chi odia; ed eccolo infatti raccontare all'amata l'eccidio compiuto per vendetta e disprezzo dei "diversi"; sarebbe stato uguale se si fosse trattato di umani, ma così in più fa capolino un embrionale razzismo (che caratterizzerà l'Impero costituito di soli umani: "Li odio quei mostri!"). L'ironia tragica di colui che dice di voler impedire che la gente muoia, ma poi diverrà il più oscuro assassino della Galassia, dà i brividi.
• all'ordine di Mace Windu di restare dove ormai è, per proteggere Amidala, un sussulto di senso del dovere -perché naturalmente si sente in colpa per l'eccidio compiuto- lo spingerebbe ad obbedire (e se questo non accorrere in aiuto di Obi-Wan discendesse dallo sfogo contro di lui di poco prima? Se fosse una ripicca, una vendetta? "Che se la cavi da solo il mio... maestro"); ma qui è Padmé stessa a spingerlo all'ennesima infrazione con un'astuzia falsamente innocente, poiché decide di partire per costringerlo a fare il suo dovere di proteggerla... seguendola; una malizia capziosa degna del piccolo Ani di Ep1: "Qui-Gon mi ha detto di restare in questa carlinga, perciò farò così". Insomma, dove non arriva lui, arriva lei assecondandolo come sua complice, per così dire
• nell'inseguimento di Dooku, per recuperare Padmé caduta, sarebbe pronto a far fermare la cannoniera infischiandosene del suo dovere, in quel momento assolutamente cruciale, legato com'è alle sorti della guerra; solo Obi-Wan lo riporta temporaneamente alla ragione, ma...
• nel duello con Dooku non dà ascolto a Obi-Wan che consiglia di affrontarlo insieme e si lancia da solo con presunzione gridando "No, è mio, è mio!", ottenendo subito una dolorosa punizione che lo ridimensiona alquanto e ne svela tutta la fragilità
• nella scena finale l'ultima grande infrazione, formalizzata e resa definitiva, (della quale Padmé è tacita complice), il matrimonio; proibito, e dunque irregolare per il Jedi, ma in più tenuto segreto, sempre secondo il principio delle comode scappatoie che permettono di assecondare i cedimenti senza al contempo affrontarne pubblicamente le conseguenze.
Raggruppando tutte queste trasgressioni piccole e grandi il quadro è abbastanza chiaro.
Il bambino epitome della bontà ha lasciato il posto a un adolescente tormentato, che però ha in comune con il se stesso più giovane un tratto essenziale: l'immaturità. Anakin ventenne resta una persona immatura che non rinuncia ai proprio capricci.
Dicevamo che il punto cardine, la domanda di fondo su cui la trilogia dei Prequel è imperniata è "perché", perché Anakin arriva ai livelli di malvagità che tutti ricordano per Vader.
La risposta completa l'avremo solo con Episodio III, tuttavia è evidente che uno dei nodi è quello della madre: Lucas ha scelto di fare di Shmi la chiave (la prima) per il passaggio del protagonista al Lato Oscuro della Forza e ha sacrificato a questa scelta -della quale evidentemente è convinto- l'età del piccolo Anakin di Ep1, in quanto, come ha dichiarato, "a nove anni il distacco dalla madre è più traumatico" e così dev'essere nella sua visione per portare a ciò che sappiamo.
Anakin rimane durante tutti quegli anni un ragazzo tormentato da desideri irrealizzabili, proibiti dal codice Jedi, desideri disperati: stare ancora con la madre ("Non voglio che le cose cambino") e stare con Padmé. Senza contare i suoi deliri di onnipotenza, ennesimo desiderio impossibile: impedire che la gente muoia.
C'è dell'immaturità, dunque, alla base della malvagità; ovverosia l'incapacità di accettare i propri limiti (anche Anakin ne ha, sia suoi che imposti dalle circostanze) e di mettersi in pace con la propria vita e i propri desideri irrealizzabili. Qualcosa che potenzialmente riguarda tutti noi nell'intimo e che decide la nostra felicità o la nostra disperazione.
Sotto l'allegria giovanile, il ragazzo cova sentimenti pronti a esplodere. Proprio quando il destino gli fa incontrare nuovamente Padmé, i sogni premonitori lo conducono a soccorrere Shmi, l'unica creatura che per nove anni ha amato. E quando il destino gliela strappa crudelmente, beffandolo, il mondo gli crolla addosso. A frenare la sua disperazione c'è però l'altro suo desiderio che, a differenza del primo, sta trovando appagamento. È quella l'unica, debole ancora di salvezza, per il momento.
La via dei Jedi ha rappresentato per Anakin il più grande freno ai propri desideri, ancorché fosse stata originariamente essa stessa un suo desiderio, scelto con la fragile consapevolezza dei nove anni. Solo rinnegando i Jedi Anakin potrebbe soddisfare i propri desideri disperati. E con Padmé, finalmente, trova il coraggio (la spudoratezza?) di farlo: per un attimo lascerebbe tutto pur di soccorrerla, in una scena strepitosa e intesa; poi, nella sequenza finale, non si cura delle conseguenze e si getta a testa bassa in un matrimonio segreto e proibito, mosso da una miscela di amore, immaturità, tristezza.
Ma lo fa solo adesso che ha perso la madre: Anakin capisce che con Padmé, se vuole stringere a sé l'ultimo suo grande affetto prima della rovina, non deve lasciare intentata alcuna violazione, deve premere l'acceleratore verso l'ignoto, bruciare le tappe, mandare in malora tutto e tutti.
Padmé è la Trasgressione incarnata, la Consolazione e l'ultimo porto sicuro del cuore di Anakin prima che l'onda nera del suo animo travolga ogni personaggio della saga.
E forse Anakin era Prescelto proprio a questo, al grande paradosso dell'equilibrio della Forza recuperato solo dopo essere stato perduto completamente; un paradosso che solo a Endor, tanti anni dopo, sulla seconda Morte Nera apparirà in tutta la sua lucida perfezione. Allora, solo allora, il Male soccomberà e i Jedi rinasceranno. E sarà per mano sua.
Senza la sua trasgressione, forse, non sarebbe stato possibile.
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