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Lucas su Lucas
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a cura di Massimo Benvegnù e Giovanni Buggio |
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ESPERIENZE GIOVANILI
Non mi sono mai occupato realmente di film fino all'epoca del college. Non pensavo nemmeno ai film, ero molto più interessato alle macchine. Mi sono avvicinato al cinema al college, e da allora ne sono uscite storie di tutti i colori, ma quando avevo dieci anni sognavo di guidare a Le Mans, Montecarlo o Indianapolis. Non c'è stato qualcosa in particolare che mi abbia ispirato da bambino riguardo a quello che ho poi fatto da adulto, se non che ero estremamente curioso sul perché la gente facesse ciò che fa. E mi ha sempre interessato molto che cosa motivi la gente. E raccontare storie, costruire cose. Da giovane, i miei anni di teen-ager sono stati dedicati completamente alle auto. Sono state la cosa più importante della mia vita dai 14 ai 20 anni.
IL RITO D'INIZIAZIONE
Il crocevia della mia carriera l'ho incontrato molto presto. Ho avuto un incidente d'auto. Prima di quell'evento non ero mai stato un buono studente. Non avevo molto a fuoco la mia vita. Sono passato attraverso un incidente a cui non sarei mai dovuto sopravvivere. E durante questa esperienza, scoprii che ci doveva essere un motivo se ero lì, e che sarebbe stato meglio per me scoprire qual era, e che avrei fatto bene a trovare quale fosse il mio talento, cosa fosse ciò che amavo fare nella vita, ed anche che avrei dovuto realizzarlo. Questo mi ha motivato molto direttamente, e mi ha indirizzato definitivamente alla ricerca di ciò che amavo, e alla svolta verso la cinematografia.
LA SCUOLA
I miei genitori sono stati molto importanti. Ci sono stati tre o quattro insegnanti che mi hanno ispirato. Non ero particolarmente bravo in inglese — non è che mi piacesse molto — ma ho avuto un insegnante di inglese che era veramente brillante, Mr. Fagan. Non so se mi abbia insegnato molto, ma mi ha sicuramente spinto ad essere creativo e a scrivere. E quando pensi ai tuoi migliori insegnanti, sono più persone che hai preso d'esempio e che ti hanno ispirato, piuttosto che persone che ti hanno comunicato delle nozioni. Mr. Fagan insegnava alla Downey High School, a Modesto, in California. Era un insegnante molto esuberante, acceso, insegnava ai ragazzini direttamente al loro livello. Era un insegnante di letteratura e grammatica inglese. E poi alle superiori, ero molto interessato alla storia. "Perché la gente fa ciò che fa" è una specie di "come l'hanno fatto in passato". Da bambino ho passato un sacco di tempo cercando di collegare il passato al presente.
LA MIA GENERAZIONE
Io credo che il grande vantaggio della mia generazione sia questo: quando eravamo alla scuola di cinema, e tentavamo di entrare nel business, le porte erano tutte chiuse, e c'era un bel muro alto alto, e nessuno ce la faceva ad entrare. Così tutti noi barboni e mendicanti che stavamo davanti ai cancelli, abbiamo deciso che o facevamo gruppo, o non saremmo mai sopravvissuti. Se uno di noi ce l'avesse fatta, avrebbe aiutato tutti gli altri a farcela, e da allora ci saremmo aiutati a vicenda. Così ci siamo riuniti. Credo che ogni società inizi così, i cavernicoli se la immaginavano così.
Tutte le società iniziano con la comprensione del fatto che insieme, aiutandoci l'un l'altro, possiamo sopravvivere meglio che lottando gli uni contro gli altri. Le culture agricole, ed anche le prime società cacciatrici. Tutto comincia in città-stato, ma poi manifestiamo la tendenza a perdere il collante quando ci scordiamo che come gruppo siamo più forti che come singoli individui. Iniziamo a pensare di volere tutto per noi stessi, e che non vogliamo aiutare nessun altro. Vogliamo il successo, ma non ci va che qualcun altro possa averlo a sua volta, perché vogliamo essere gli unici vincitori. Una volta acquisita questa mentalità — che è quella che va per la maggiore in gran parte della nostra società — si perde sempre. Non si può vincere in questo modo.
Io e i miei amici... parte del nostro successo lo dobbiamo al fatto di esserci sempre aiutati l'un l'altro. Se io trovavo lavoro, aiutavo subito qualcuno di loro a fare altrettanto. Se qualcuno aveva più successo di me, era anche per merito mio. Così, il mio successo non dipendeva da quanto riuscivo a schiacciare chi mi stava attorno, ma da quanto riuscivo a portarlo in alto. E per loro era la stessa cosa. Nel corso del tempo, ci siamo spinti in alto a vicenda, e continuiamo a farlo. Anche se, alla fine, abbiamo aziende concorrenti, se i miei amici ce la fanno, allora tutti ce la fanno. Questa è la chiave, cercare di farcela tutti quanti, senza che qualcuno si diverta al fallimento altrui. E continuiamo a farlo, anche con i giovani registi. Nessun tentativo riesce senza l'aiuto degli amici, e tentare di essere sempre il numero uno è, alla fine, un'idea perdente.
Hai bisogno di tuoi pari, di persone che siano al tuo stesso livello. Nella vita non sai mai quando potrai avere bisogno di aiuto, né da chi. Uno dei temi più ricorrenti delle fiabe è quello del povero che chiede aiuto dal bordo della strada, che, se aiutato, si rivela la chiave del successo del protagonista. Se invece non lo si aiuta, si finisce trasformati in una rana o in qualcos'altro. È un'idea che è in giro da migliaia di anni, e che si rivela ancora più utile adesso che la gente è più presa dalla propria espansione personale piuttosto che dall'aiutare gli altri. Non credo che ci sia qualcuno che sia arrivato al successo e non comprenda l'importanza del far parte di una più ampia comunità, dell'aiutare altra gente nel gruppo, di dare al gruppo qualcosa in cambio. E non è una cosa che fai quando ormai sei arrivato; la si fa quando si è ai livelli più bassi, e si sta ancora lottando.
Quando eravamo alla scuola di cinema, eravamo tutti molto poveri, ed avevamo tutti un bisogno disperato di lavorare. Se uno di noi non riusciva ad avere un determinato lavoro, ci si mandava un altro, nella speranza che almeno uno ce l'avrebbe fatta. Si fa così fin dal principio. Puoi cominciare aiutando ogni giorno tuo fratello o tua sorella, o i tuoi compagni di scuola, o la comunità. Ma non è solo una sorta di servizio pubblico, è un modo di vivere. Poi impari quanto è bello, e che, aiutando gli altri, ottieni di più. È molto più logico aiutare gli altri a raggiungere il livello di ognuno, piuttosto che criticare, o prendere in giro, così tutti hanno la possibilità di muoversi. E se lo fai ogni volta, la cosa ti aiuta da un punto di vista personale. È comunque una buona decisione per gli affari — mettiamola così. La cosa più importante è che ti senti meglio con te stesso, e sei una persona più felice.
Se l'America è la ricerca della felicità, il modo migliore per inseguirla è aiutare le altre persone. Non c'è cosa che ti renda più felice. Puoi essere ricco, famoso e potente quanto vuoi, e questo non ti renderà felice. È già stato detto mille e mille volte, è un tale luogo comune che quasi non serve dirlo, ma la gente non capisce che è vero. Puoi trovare ricchi, famosi e potenti che non sono affatto felici, e trovare gente che ha scoperto che è l'aiutare gli altri, l'essere compassionevoli verso gli altri che ti rende felice, che ti appaga spiritualmente, di un tipo di appagamento che va al di là di qualunque cosa tu possa comperare. È un idea vecchia di cinquemila anni, ed ogni profeta, ogni persona intelligente, razionale e capace l'ha ribadita. E la cosa più importante è che è vera.
IDEE
Ho un sacco di idee, e voglio essere capace di lavorare. Quando ho girato American Graffiti mi sono detto: "finalmente ce l'ho fatta". Sono un regista. Penso che non morirò di fame e penso che se va bene potrò realizzare tutte le idee che voglio. Per quanto mi riguarda, è come uno di quei concorsi in cui hai cinque minuti dentro un supermercato per prendere qualunque cosa tu voglia dagli scaffali, e cerchi di riempirti il carrello più che puoi. Io guardo così al mio lavoro: ho un supermarket pieno di idee, e la sfida è quante riuscirò a realizzarne prima di dovermene andare.
American Graffiti è stata la possibilità di dire: "okay, hai il carrello, te ne andrai in giro per il supermarket. Adesso è solo una questione di lanciarsi e arraffare quante più idee puoi". Non è un problema di modestia, è il fatto che mentre lo fai non ti concentri sul successo, né sull'appagamento o su cose del genere. Cerchi semplicemente di realizzare tutte le cose della tua vita che vorresti.
IL REGISTA E LO SCRITTORE
Arrivai ad un punto in cui ero in grado di fare un primo film. E la persona che mi stava aiutando, Francis Ford Coppola, mi disse: "se vuoi farcela in questo mestiere, e vuoi diventare un regista, devi imparare a scrivere. Devi imparare a stendere da solo la tua sceneggiatura, e a farla funzionare bene". Io risposi: "non mi piace scrivere, non voglio fare le sceneggiature da me, preferisco procurarmi uno scrittore e farlo fare a lui". E lui, di rimando: "non puoi avere uno scrittore, dovrai farlo da solo, e devi scrivere questa sceneggiatura". Mi diede parecchi suggerimenti, e a volte un amico veniva a darmi una mano: era l'addetto al suono nel film, ed anche un mio compagno di scuola, così ci lavorammo insieme, ma scrivere non era proprio cosa per me. Ad ogni modo, ce la feci, e nel film successivo, American Graffiti, finii per stendere da solo la sceneggiatura, perché sapevo che così andava fatto. Se vuoi dirigere, devi scrivere. Ed è utile, perché l'intero nocciolo del fare un film parte con il soggetto, e con l'idea che contiene. Se arrivi a questo allora tu stesso sei il tuo studio, e nessuno può più fermarti, perché ti basta una matita ed un blocco e sei già sulla buona strada. Puoi creare, e se sei veramente bravo, alla fine riuscirai a mettere insieme qualcosa che potrai vendere, o a trovare qualcuno che voglia rischiarci su dei soldi. Così arrivi a fare il film vero e proprio, che è la cosa che preferisco. Mi piace il montaggio, ed il girare vero e proprio, ma con l'andare del tempo, ho imparato ad amare ogni singola parte del processo e adesso la maggior parte del mio tempo la passo a scrivere, e per il resto, di tempo me ne resta veramente poco...
ANTROPOLOGIA (E FLASH GORDON)
Fin dai tempi dei miei studi in scienze sociali, mi sono sempre interessato alla mitologia. Ho seguito un corso di antropologia che riguardava il rapporto tra mito e cultura. Volevo creare una sorta di mitologia moderna, che si rivolgesse ai giovani. Amo lo spazio, amo la velocità, ed ho amato Flash Gordon da bambino: queste sono state le mie fonti di ispirazione, ma ci sono voluti due anni interi di lotta solo per riuscire a scriverle. Sono certo che ognuno abbia il suo metodo personale; il mio è più o meno così: so che c'è un film lì, posso anche vederlo, solo che non riesco a vederlo ordinatamente, né chiaramente. Allora provo a guardare attraverso la nebbia, e all'improvviso, ecco che appaiono una scena o due, e le metto giù. Ma poi c'è ancora nebbia, e pezzi che non sono mai al posto giusto. Continuo ad andare avanti, ed inizio a vedere che una cosa ha il suo posto qui, l'altra invece là, e finalmente riesco a vederlo come un tutt'uno.
Ho fatto diverse bozze per Guerre Stellari, e mentre alcune idee, immagini, temi sono in qualche modo usciti da sé, calzando già a pennello, molte delle parti "di connessione" non giravano affatto. Non riuscivo ad immaginarmi bene come funzionasse la storia, ma se ci si sta su abbastanza, sudandoci quanto basta, alla fine si può quasi vederlo, il film su cui si lavora. Una volta terminata la sceneggiatura, io posso "far scorrere" il film nella mia testa, ed è come se lo avessi già visto. Così, quando vado a dirigerlo o a montarlo, so già come sarà. Il problema è che il film reale spesso non esce bene come quello della tua testa. C'è un sacco di frustrazione nei compromessi che sei obbligato ad accettare, o in tutte quelle cose che non vanno come avrebbero dovuto. Devi imparare a convivere con tutto questo.
Anche sulla scrittura, devi imparare che una volta iniziato a scrivere, i personaggi cominciano a "parlarti", e che se hai messo in piedi delle situazioni e creato personaggi diversi, saranno loro a raccontarti la tua stessa storia. Allora non puoi più dir loro cosa fare, perché si rifiuteranno di farlo; ti diranno: "no, non sono quel personaggio, io non mi comporto così, io faccio quest'altra cosa". E ciò ti conduce lungo una via. Hai questi flash di immagini o di momenti, e poi entrano i personaggi. Una volta che hanno preso vita, ci vuole un po' prima che possano avere proprie opinioni sulle cose. Quando le acquisiscono, però, è come se tu ti sedessi e guardassi il film, ed è così che arrivi alla bozza finale della sceneggiatura.
Poi passi il tutto alla vita reale, ed entrano in campo forze di tutt'altra misura. Ti devi muovere, ed adattarti all'ambiente del momento. Sai, l'attore oggi non è ben disposto, o non fa la tal cosa, o questa non si mette come ti eri aspettato, o piove. Quando giri un film, nel corso di un giorno possono succedere un sacco di cose a cui ti devi adattare. Siccome non ti puoi mai veramente fermare, spesso sei costretto a dire: "va be', facciamo così". Puoi cambiare il tuo programma, puoi prendere la misura. Ma all'improvviso ti ritrovi a cambiare l'aspetto generale, o l'azione, per conformarti ad una cosa qualunque; se è una bufera, dici: "okay, la riscriviamo in modo che si svolga in una bufera". E poi ti prende la mano. Devi accettare il fatto che entrano in campo altri elementi, su cui non hai il totale controllo.
Penso che gran parte del lavoro di fare film sia nell'abilità che uno ha di affrontare le sfide che si ritrova ogni mattina quando va al lavoro. La cosa importante è quanto le si affronta per il meglio, quanto si riesce a non perdere di vista il tema principale del film, i tratti dei personaggi più rilevanti, l'intreccio. Il trucco sta nell'usare ciò che ti ritrovi contro ogni giorno per rafforzare il film, invece che per distruggerlo. La tua battaglia la combatti qui, e questa è la parte difficile, quella che ti fa tornare a casa stanco alla fine della giornata
IL MITO
Sono giunto alla conclusione che il mio lavoro è di creare dei modelli, non di mostrare alla gente il modo in cui va il mondo, perché lo sanno già. Una cosa che però l'arte può fare è indicarti come le cose dovrebbero andare, per spingerti a dire: "questo è il mondo che vorremmo, e queste sono le persone che ci piacerebbe essere". È l'altro lato della medaglia del "così va il mondo".
Più o meno all'epoca di questa intuizione, mi accorsi che ai nostri giorni proprio non si faceva uso della mitologia. Mi sembrava che ci fosse una rottura, nelle fiabe moderne, nei miti, nel raccontare storie in generale, tra padri e figli. L'epopea western era probabilmente l'ultima storia di respiro americano; che ci parlasse, cioè, dei nostri valori. Dopo che ebbe esaurito il suo ciclo, però, non era stata sostituita da qualcos'altro.
Sul fronte letterario si faceva avanti la fantascienza, che manifestava più un'attrattiva intellettuale, rispetto al ruolo di tradurre i valori fondanti una società in una forma più accessibile ai giovani. Questi valori non sono innati, ma si tramandano... le cose importanti da dire sono cose che vanno ripetute e ripetute generazione dopo generazione, altrimenti una di queste se le perde, e per sempre. Così mi sono dato anima e corpo alle ricerche su fiaba, folklore e mitologia, ed ho cominciato a leggere i libri di Joseph Campbell.
Fu curioso, perché leggendo L'eroe dai mille volti, iniziai a rendermi conto di quanto la mia prima bozza di Guerre stellari richiamasse temi classici; sembra che questi profondi elementi psicologici siano presenti in tutti, e che lo siano stati per migliaia di anni; del resto la psicologia umana non è cambiata di molto. Qualunque sia la struttura mentale, le cose non cambiano. Così ho modificato la successiva bozza di Guerre stellari sulla base di ciò che avevo imparato sui temi classici, per darle un po' più di corpo. Intanto ho continuato a leggere Le maschere di Dio, e molti altri libri del genere. Mi chiedevo: "quali sono i tratti comuni di tutti questi miti?". È più facile a dirsi.
Ci sono trame di concetti psicologici, che si insinuano attraverso differenti miti. Ho cercato di condensarli, e di inserirne un concentrato nella mia scrittura, in un modo che potesse però essere recepito da un dodicenne. Del resto, la mitologia si è sempre servita dell'immaginazione, nella misura in cui era necessaria a raffigurarsi eventi meravigliosi, che non accadono nella vita normale, e che di solito si svolgono in terre di frontiera. Allora mi sono chiesto anche: "dov'è la frontiera oggi?". Be'! posso starmene in cortile, alzare il naso e domandarmi: "chissà cosa c'è lassù". E questo è ciò che considero alla base di tutte le mitologie, cioè qualcuno che se ne sta in piedi a guardare l'orizzonte e a dirsi: "chissà cosa c'è laggiù, oltre le colline"... e poi: "ci farò su una storia, su quello che c'è laggiù, oltre le colline"
IL FUTURO DEL CINEMA
Credo che ci saranno maggiori possibilità di accesso all' intrattenimento da casa, con il sistema della pay per view. Ci saranno film di fascia molto ridotta, in termini di pubblico cui si rivolgono. Avremo la possibilità di vedere una gamma di film molto più ampia, e penso che questo sia fantastico. Potremo reperire materiale di consultazione con l'interattività dei sistemi multimediali, giochi, musica, e tutto questo convergerà. Si potranno avere diversi elementi narrativi, ed occasioni di interattività che renderanno il tutto più simile ad un gioco. E ci saranno spettacoli, come quelli musicali, che saranno principalmente d'ascolto, ma avranno immagini di accompagnamento, e la possibilità di interagire.
GLI ATTORI DIGITALI
Abbiamo comunque un sacco di attori umani nel film (The Phantom Menace, ndDC). Gli strumenti digitali sono ottimi per quelle cose, come alieni o robot, che si possono creare e per cui non si possono utilizzare gli attori. In ogni caso, usiamo gli attori per le voci, e per i personaggi digitali, l'animatore diviene egli stesso l'attore, dovendo usare le stesse identiche abilità. Gli attori ci sono, è solo che lavorano in un modo diverso da quello a cui siamo abituati. Resta comunque infinitamente più conveniente utilizzare un attore in carne ed ossa, piuttosto che crearne uno, e credo che sarà sempre così. Questo garantisce l'arte della recitazione per almeno un altro millennio.
AMBIZIONI
Per quanto riguarda me e la compagnia, le ambizioni che ho sono un po' diverse da quelle delle altre persone. Non sto di sicuro cercando di fare 50 film in un anno; sono riuscito a malapena a mettere insieme le cose che volevo fare da un punto di vista artistico. Avrei un sacco di film da fare, è solo che non sembro avere abbastanza tempo per realizzarli; mi piacerebbe vivere fino a 150 anni!
SCRIVERE E GIOCARE
Quando si gioca, il che è molto simile a quando si scrive, cioè si lavora di fantasia, si creano cose da cui si è emotivamente attratti. Pensare di poter essere amici con una creatura pelosa di due metri e mezzo, o di un robot senziente alto sessanta centimetri, e che in questo ci possano essere significati per nulla apparenti, è una cosa importante da superare sul piano emotivo. Darth Vader e i suoi alleati erano semplicemente persone che avevano perduto la loro umanità. E contro di loro andavano messe persone che conservavano i propri lati umani, senza dare importanza a cose come forma, dimensioni, colori, aspetto.
PASSIONI
Quando ero piccolo non ne avevo. Crescendo ho coltivato molti interessi. Mi piaceva lavorare con il legno, costruire le cose. Mi piacevano le auto, e mi piaceva l'arte. Durante i miei primi anni di college, mi interessavano molto le scienze sociali, l'antropologia, la sociologia, la psicologia, questo genere di cose. Conservavo il mio interesse per l'arte e la fotografia. Non sapevo ancora che avrei potuto metterle tutte insieme in un unica occupazione, e che l'avrei amata. Mi sono voluto trasferire ad una scuola d'arte, e sono finito per andare alla University of Southern California. Lì avevano una scuola di cinema, ed io mi dissi: "Be'! assomiglia alla fotografia, forse potrebbe essere interessante". E una volta iscrittomi a quel corso, scoprii che era quella la cosa che amavo, ed in cui ero bravo. E mi resi conto che poteva riuscirmi bene, e che mi divertiva. Accese veramente una passione in me, e tutto partì da lì. Dopo questo, non ho fatto nient'altro che film. Ripensandoci adesso, se fossi andato alla scuola d'arte, o avessi continuato antropologia, probabilmente sarei finito comunque a fare film. Non importa quale strada avessi preso, sono quasi certo che ci sarei finito in ogni caso. Per lo più ho seguito le mie passioni, e mi sono detto: "mi piace questo, mi piace quello", continuando ad andare avanti dove quelle cose si facevano più calde, finché mi sono trovato in un posto bollente, ed ero là.
EMOZIONI
Penso che giudicare emozionanti i film sia una cosa estremamente personale. È un lavoro molto duro. E non è poi così glamour, è soltanto un modo semplice per esprimere delle idee. Io sono più una persona orientata verso la visualizzazione che verso la verbalizzazione. Per me l'emozione sta nel fatto che ho trovato un modo per raccontare una storia come volevo, in un medium che sapevo gestire come volevo. Penso che sarebbe stato molto difficile per me se avessi provato a fare qualcos'altro, perché anche se scrivo sceneggiature, non credo di essere un buono scrittore. Ho un grande interesse per lo studio delle culture e delle questioni sociali, ma non credo che avrei avuto molto successo come accademico. Credo che si debba trovare ciò in cui si è bravi, e andare in quella direzione. Ognuno di noi ha del talento, è solo questione di continuare a girare fino a che non si scopre in che cosa. Il talento è una combinazione di qualcosa che ami, di qualcosa in cui ti puoi perdere — qualcosa che puoi iniziare alle 9.00 di mattina, alzare gli occhi dal tuo lavoro ed accorgerti che sono le 10.00 di sera — e qualcosa che sei naturalmente portato a fare bene. E di solito le due cose vanno insieme. Sai, molte persone amano fare una determinata cosa, ma non riesce loro abbastanza bene. Bisogna continuare sulla strada delle cose che ci piacciono finche non incontriamo qualcosa che sappiamo fare veramente bene. Può essere qualunque cosa. Ci sono un sacco di cose là fuori, è solo una questione di girare finche non si trova quella giusta, una nicchia grande abbastanza.
IL "COSA" E IL "COME"
Imparare a fare film è facile; il difficile è imparare su cosa farli. La prima cosa da fare è cercare di imparare più cose possibili sulla vita e sui suoi differenti aspetti. Poi devi imparare le tecniche con cui si crea un film; e queste cose puoi impararle abbastanza in fretta. Ma avere una buona comprensione della storia, della letteratura, della psicologia, delle scienze è molto importante per poter realmente fare un film.
SUCCESSO
Se vuoi avere successo in un particolare campo, penso che la perseveranza sia un elemento chiave. Sai, è importante trovare qualcosa che ti interessi, per cui hai una grande passione, perché dovrai dedicarci gran parte della tua vita. E devi davvero focalizzartici su, perché dovrai affrontare un sacco di ostacoli, e di gente che dice che non ce la puoi fare. E dovrai prendere un bel po' di rischi. Lavorare duro è molto importante. Devi trovare qualcosa da amare abbastanza per essere capace di affrontare questi rischi, per passare oltre questi ostacoli, per saper attraversare i muri che ti si pareranno davanti sempre. Se non hai questo sentimento verso la cosa che fai, ti fermi al primo grande ostacolo che incontri. Così, io credo che non ce la si possa fare se non si persevera. Se non si è capaci di superare molti grandi ostacoli. Penso che sia una delle più importanti caratteristiche riguardo al lavoro in generale.
IL LAVORO
È importante lavorare duro. Senza lavorare duro non si arriva da nessuna parte. Non importa quanto sembri facile visto da fuori, è una lotta molto dura. Sai, la parte della vita di una persona in cui c'è la lotta, non si vede. Si vede soltanto il successo che ha. Ma non ho mai incontrato nessuno che non abbia saputo descrivermi anni ed anni di durissima lotta nel tentativo di raggiungere una meta, qualunque fosse. Non c'è modo di aggirare questo ostacolo. Il segreto è non perdere mai la speranza. È molto difficile, perché se stai facendo qualcosa che ha veramente importanza, credo che verrai spinto sull'orlo della disperazione prima di uscire dall'altra parte. Devi essere capace di resistere.
Ho avuto molti più bassi che alti nella mia vita. E molte più battaglie. Prima di tutto, quando mi iscrissi alla scuola di cinema tutti mi dicevano: "che cosa stai facendo? Questo è un vicolo cieco per la tua carriera" perché nessuno ce l'aveva mai fatta ad entrare nella vera industria cinematografica da una scuola di cinema. Potevi riuscire a trovare un lavoro alla Lockeed, o in qualche altra industria, ma nessuno allora riusciva da entrare nel settore dell'intrattenimento. Tutto sommato io non ero interessato ad entrarci, così non ci diedi molta importanza. Ero più interessato a fare i film in sé, a tornare a San Francisco per fare film sperimentali, quel genere di cose. E forse anche dei documentari. Non mi importava.
Poi ho finito la scuola, sono tornato a San Francisco, e tutti mi hanno detto: "perché vai a San Francisco ?". Io ho risposto: "è lì che vivo". E tutti: "è assolutamente impossibile lavorare nel cinema vivendo a San Francisco. Così ho detto: "voglio vivere dove mi va. E farò dei film, perché amo fare film". Ed ho lottato... voglio dire, mi ci sono voluti anni per far partire il mio primo film. Adesso, quando parlo con gli studenti, dico loro: "il lavoro più facile che mai dovrete affrontare sarà fare il vostro primo film". E quello più facile da trovare, perché nessuno sa ancora se siete veramente in grado di fare un film o no. Avete fatto un mucchio di progetti, avete dimostrato talento, e avete pure parlantina, e siete riusciti a convincere qualcuno che dovreste avere una occasione; loro ve ne danno una.
Dopo che avete sfruttato quella occasione, allora avrete il vostro bell'inferno di difficoltà nel far partire il vostro secondo film, perché guardano il vostro primo film e dicono: "Oh... be', non ti vogliamo più". Mi ci sono voluti tre o quattro anni per passare dal mio primo al mio secondo film, bussando porta a porta, e cercando di convincere qualcuno a darmi una seconda possibilità. Scrivendo, lottando, senza soldi in banca, lavorando come editore, come cameraman, trovandomi dei lavoretti, cercando di guadagnarmi da vivere in qualche modo, di restare vivo, e di piazzare una sceneggiatura che nessuno voleva. Alla fine riuscii in qualche modo a fare quel film, American Graffiti, e dopo che quello fu un grande successo, le difficoltà scomparirono.
I miei primi sei anni nel cinema furono disperati. Ci sono un sacco di volte in cui ti siedi e dici: "perché sto facendo tutto questo? Non ce la farò mai. Non può accadere. Dovrei uscire a cercarmi un lavoro vero, e provare sopravvivere". Ho chiesto soldi in prestito ai miei genitori, ne ho chiesti ai miei amici. Sembrava che non sarei mai stato in grado di restituirli. Ma è la vita. Devi mangiare, pagare l'affitto, e ripagare gli amici che ti aiutano.
LA TECNICA
Be', quando ho scoperto il cinema, e quando ho scoperto la cinematografia. Il mio unico scopo era essere in grado di fare un film. Lottavo per raggiungere una posizione da cui poter dire: "Ah... adesso sono un regista, e posso continuare a fare i film che voglio... per tutto il resto della mia vita", il contrario che lottare e dire: "ho un film, ma non ne girerò mai più un altro". Fu un grande momento per me quando feci American Graffiti, ed ebbe successo. Perché veramente mi sono potuto sedere e dire: "Okay, sono un regista adesso. Posso avere un lavoro. So di poter lavorare in questa industria, far valere le mie capacità, ed esprimere il mio punto di vista sulle cose. Essere creativo in un modo che mi diverte. Anche se finissi a fare spot per la TV, o se tornassi a fare i documentari che amo veramente, sarei comunque in grado di farlo. So di poter trovare un lavoro da qualche parte, so di poter guadagnare dei soldi. So di poter fare ciò che voglio". E quella fu una bellissima sensazione. A quel punto sapevo di avercela fatta. Niente nella mia vita mi avrebbe impedito di fare film.
IL PASSATO ED IL FUTURO
Questa nuova trilogia è il racconto di come ognuno è venuto a trovarsi esattamente nel punto in cui è adesso. È come se aveste visto la seconda metà di una serie, e adesso potete vedere la prima metà. I personaggi sono gli stessi, ma gli attori ovviamente no, perché la storia si svolge quando sono più giovani. È una storia che ha per protagonisti Ben Kenobi ed Anakin Skywalker, e che racconta come si è arrivati al momento in cui Ben se ne sta in mezzo al deserto aspettando un "qualcosa" che dovrebbe succedere. È anche la storia di come Darth Vader è diventato quello che è, e di come l'Imperatore ha conquistato il potere. Si inizia prima della sua ascesa, e si continua seguendola. Quando sarà finito, si tratterà di un unico film di circa dodici ore. Nel primo film, i personaggi sono molto giovani, anche se Obi-Wan è sulla trentina. Negli episodi due e tre, Anakin è attorno ai venti. Anakin ha più o meno l'età che ha Luke nell'episodio quattro, ed Obi-Wan sta sui quaranta. Il secondo ed il terzo episodio si svolgono quasi in continuità, alla distanza di al massimo due anni l'uno dall'altro, ed alla fine del terzo, Anakin ha ventidue anni, mentre Ben ne ha circa quarantadue. In questa logica, Una Nuova Speranza (Star Wars Ep IV: A New Hope, ndDC) giunge quindi circa vent'anni dopo, quando Obi-Wan è nei suoi sessanta.
PREPARARE UNA NUOVA TRILOGIA
È un lavoro lungo, ma la scrittura lo è sempre, dopo tutto. È molto divertente poter ritornare adesso a quell'universo, soprattutto perché essendo in possesso delle attuali tecnologie, sono in grado di ricrearlo più simile a come me l'ero raffigurato all'inizio, con più personaggi che se ne vanno in giro, e in generale con un sacco di cose diverse. Ho passato l'ultimo film della trilogia a litigare con quei personaggi che avevano una loro "mente", e a confrontarmi con quelli come Yoda, che non potevano camminare per più di un metro. Ora mi posso permettere di avere personaggi che fanno tutte le cose che prima risultavano impossibili, e perciò è tutto più divertente.
Avrei sempre voluto farlo, è solo che quando ho finito i primi tre, ho deciso che mi serviva una pausa. Mi sono dedicato alla costruzione dello Skywalker Ranch, e allo sviluppo di alcune delle nuove tecnologie, oltre che ad occuparmi di altri film su cui volevo lavorare. Del resto avevo speso nove anni su Guerre Stellari, ed ero felice di poter fare dell'altro per un po'. In più, sul piano delle tecnologie, non c'era ancora stata un'evoluzione sufficiente a consentirmi di realizzare quello che avevo in mente. Molte delle cose che sono uscite negli ultimi dieci anni, riguardavano il perfezionamento delle tecnologie. Così adesso posso davvero realizzare il film che avrei voluto.
Era frustrante dover lavorare con una tavolozza così povera di colori; si potrebbe dire addirittura che nei primi tre film avevo dovuto lavorare con solo il bianco ed il nero sulla mia tavolozza, mentre ora ne ho a disposizione una con tutti colori, e li posso finalmente aggiungere. Penso che sarà molto eccitante. Posso avere uno Yoda che cammina, un sacco di alieni diversi, moltissimi robot, e veicoli spaziali differenti, non più soltanto astronavi. In più, dispongo di una maggiore fluidità a riguardo, soprattutto in termini di direzione. Posso finalmente muovermi all'interno di una scena. Anche se prima non si vedeva, dal punto di vista del regista, era molto dura, perché tutti erano come "cementati" sul posto. È difficile dirigere una scena quando i tuoi attori non si possono proprio muovere, è frustrante.
LE RIEDIZIONI
Quando ho realizzato il primo film, c'erano un paio di sequenze che non erano venute bene come speravo. Una riguardava Solo e Jabba the Hutt, che, nella fretta di terminare il film, non sembrava assolutamente necessaria, per via del fatto che riguardava personaggi ed avvenimenti che non apparivano fino agli ultimi episodi. A quel punto non sapevo se il film avrebbe avuto abbastanza successo da permettermi di farne un sequel, e così mi sono detto: "Ma sì. Tagliamola e basta; ci vorrebbe troppo tempo e troppo lavoro per sistemarla. Avevo sempre voluto reinserirle nel film, e una volta terminati gli altri due episodi, era diventato sempre più intrigante tentare di farlo, visto che rimandavano agli episodi successivi. Tanto più che con il livello tecnologico cui siamo arrivati, posso restituire quelle scene al film, e renderle maggiormente simili a come le avrei volute.
LA TECNOLOGIA
La gente vede nella tecnologia un elemento che spesso pone fine a qualcosa. Ma nella cinematografia, in certi casi non lo è affatto. La cinematografia, intesa come l'atto creativo che si esprime nella forma artistica del cinema, è del tutto tecnica, al contrario dello scrivere un libro, o di qualcos'altro che ha a che fare solo parzialmente con la tecnologia; voglio dire, la parte dello scrivere vero e proprio — utilizzando differenti penne, differenti tipi di carta — era sicuramente una cosa importante; basta pensare alla prima macchina per stampa, ai primi libri rilegati, o ai paperback, libri a basso prezzo per il grande pubblico. È tutta tecnologia che consente allo scrittore di raggiungere un pubblico più vasto. Molti pittori del passato erano degli esperti nell'arte della miscelazione dei colori, e ne inventavano di nuovi per potersi esprimere in modi diversi. Michelangelo, ad esempio. Le tecnologie costruttive dei pennelli erano molto importanti per il modo in cui riuscivano ad utilizzare la loro abilità.
È la stessa cosa per il cinema, solo che, sai, ha diversi aspetti. Nel primo film, hanno montato una macchina da presa e filmato un treno che entrava nella stazione. E tutti erano stupefatti. Questa era tecnologia, solo: "oh! Guarda! La tecnologia". Ma sviluppandosi, ha cominciato ad evolversi in una forma d'arte, molto più sofisticata di così. E tutto ciò che è stato fatto da allora, fosse aggiungere il suono, o il colore, o utilizzare la tecnologia digitale, è stato semplicemente un modo di allargare la tela su cui lavoravamo, per poter lavorare con più colori. È cominciato tutto con le pitture rupestri, ed erano molto belle e cariche di significato. Ma con l'andare del tempo, ci si ritrova con la tecnologia della tela, o della scultura su diversi tipi di materiali, ed in poco tempo tutto si fa molto sofisticato. Così adesso puoi raccontare storie più interessanti, e ti puoi esprimere più chiaramente.
Questo è ciò che sta accadendo adesso, ed è il motivo per cui tutti gli artisti fanno pressione sulla tecnologia, sul medium, per riuscire ad allargarne il raggio d'azione in modo da poter usare al meglio la loro immaginazione. Direi che ai nostri giorni, l'area che dispone del più ampio raggio d'azione sia la letteratura, e credo che sia sempre stato così, perché è una chiave alla mente umana, ed è estremamente diretta. Lì è soltanto una questione di carta e penna, e di come decidi di utilizzare le tue parole. Ma già il teatro — intendo Shakespeare — la gran parte del teatro di Shakespeare è stata scritta con il vincolo della tecnologia dell'epoca. Le cose stanno sul palco in una certa maniera, e sono scritte in modo da rapportarsi con le limitazioni del palco stesso, della luce tremolante delle candele, del pubblico rumoroso, del modo in cui gli attori dovevano salire o scendere dal palco se non c'era il sipario, o roba del genere.
Da questo punto di vista, l'artista riceve molti condizionamenti dalla tecnologia disponibile per il medium nel quale lavora. E nel cinema, data la sua natura altamente tecnologica, l'artista è sempre stato il più costretto nelle scelte. La tecnologia digitale, e le altre cose che si stanno portando avanti di questi tempi ti permettono di raccontare delle storie migliori, e di utilizzare molta più immaginazione che nel passato.
LA SCUOLA DI CINEMA
Quand'ero alla scuola di cinema, la grande domanda era: "quand'è che ci faranno fare un film?". In prima classe, era una classe di animazione, mi diedero un metro di pellicola da 16 mm., che era esattamente un minuto di film, e mi dissero: "ecco qua, provate la macchina, guardate come va su e giù, e cosa succede quando muovete le cose in giro. Imparate ad usarla". Era una grossa macchina per le animazioni, con un gigantesco braccio. Be'! Io ne ho fatto un film. Un film di un minuto. Ci ho messo una colonna sonora. Sono entrato in concorso ad un sacco di festival. Ho vinto miliardi di festival. Sembra che avesse rivoluzionato una sorta di animazione detta kinestatis che si realizzava con movimenti veloci su fotogrammi. Dissi: "grandioso!". Gli altri studenti dissero: "ma come hai fatto?" ed io rispondevo: "l'ho fatto e basta", mi hanno dato un pezzettino di pellicola, ed io ne ho fatto un film. Ed ho continuato a farlo.
Gli altri studenti restavano seduti in giro per il campus dicendo: "vorrei che mi facessero fare un film, vorrei che me lo lasciassero fare già da questa classe, vorrei...". Sai, se qualcuno mi avesse dato 30 metri di pellicola, io ne avrei fatto un film, mentre gli altri ragazzi generalmente no. Avevano gli stessi 30 metri, la stessa macchina da presa, e continuavano a chiedere: "quand'è che farò un film?". Ed io invece continuavo a farli, i film. Quando i ragazzini vengono da me e mi chiedono: "come ci si entra, nel business?" io rispondo: "comincia!". Realizzai anche che scrivere non mi piaceva particolarmente; avevo una personalità molto "visiva", adoravo l'uso della pellicola in sé. All'epoca non amavo molto le storie ed i personaggi, ero più un regista astratto.
DIO
"Ho messo nel film (The Phantom Menace, ndDC) la Forza per risvegliare un certo tipo di spiritualità nei giovanissimi. Si tratta però più di credere in Dio che in un particolare sistema religioso. L'ho fatto apposta per spingere i bambini a chiedere spiegazioni su questo grande mistero. Vedere intorno a me gente che non ha la curiosità di domandarsi se esiste o no Dio mi sembra la peggiore cosa che possa capitare. Ciò che voglio è sentire gente che dice: "mi sto guardando attorno, sono molto curioso di sapere e non avrò pace fin tanto che non scoprirò una risposta. Se non sarò in grado di trovarla morirò tentando di scoprire il mistero della creazione del mondo". Guerre stellari tenta di distillare tutti i quesiti che la religione può porre e li trasforma in un unico concetto, quello che esiste un grande mistero. Mi ricordo che quando avevo dieci anni chiedevo alla mia mamma come mai se c'è un solo Dio esistono tante religioni. A tutt'oggi non ho ancora trovato una risposta e la mia conclusione è che tutte le religioni sono vere. Sono convinto che esiste un Dio, non ci sono dubbi su ciò. Non sono sicuro, però, di chi sia questo Dio e di cosa sappiamo di lui.
L'AMERICA
Mi piacerebbe che la nostra società maturasse un po', vederla fondata meno sull'emotività e più sulla conoscenza. Vorrei che l'educazione avesse un ruolo più importante nella nostra vita di tutti i giorni, e che la gente potesse arrivare ad avere una comprensione più ampia, più d'insieme, di come ci inseriamo nel nostro mondo e nell'universo intero; non soltanto nei riguardi di noi stessi, ma soprattutto riguardo agli altri. Non sono però sicuro che riusciremo a farcela. Ovviamente, un sacco di gente ha un mare di sogni diversi su dove dovrebbe essere l'America, e di come dovrebbe adattarsi alle cose. Ovviamente, molto poche di queste visioni sono tra loro compatibili, e molto poche sono quelle compatibili con le leggi della natura.
La natura umana sta in una costante battaglia tra l'essere totalmente assorbiti da se stessi, ed il cercare di essere creature sociali. La natura ci crea come animali comunitari. La creatura più totalmente incentrata su di sé è una cellula cancerogena; e noi, almeno per la maggior parte non siamo fatti di cellule cancerogene. Portando la nozione su larga sala, dobbiamo capire che il mondo ha una struttura largamente cooperativa, non solo nei confronti dell'ambiente, ma anche verso gli altri esseri umani, e se non lavoriamo insieme per tenere in piedi l'intero organismo, questo muore, e noi con lui. Questa è una legge della natura, è sempre esistita e sempre esisterà. Noi siamo tra le poche creature che hanno capacità di scelta, ed un intelletto per razionalizzarla. La maggior parte degli organismi viventi o si adatta e diviene parte del sistema o viene spazzata via. L'unica cosa che noi dobbiamo adattare è il nostro cervello, e se non lo usiamo per adattarci, non sopravviveremo.
I FILM
I film e altre forme di intrattenimento visivo formano una parte molto importante nella nostra cultura e influenzano in modo estremamente potente il modo in cui la nostra società funziona. Anche se le persone nell'industria cinematografica non lo vogliono accettare esse sono parzialmente responsabili per il mondo di oggi. Nel bene e nel male, l'influenza che una volta aveva la Chiesa per formare la società, oggi è sostituita dai film. Sono i film e la televisione a dirci come vivere, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato.
LA MIA VITA
Fare film è la mia vita, e mi piace raccontare storie, e ne ho un sacco in testa che spero di riuscire a tirare fuori prima di andarmene. Per me l'unico problema è: "come posso riuscire a trarre qualcosa da ognuna di queste storie nel tempo che mi resta?". Il mio sogno è di riuscire a farcela. È stato il mio sogno fin da giovane: "riuscirò a fare dei film? Riuscirò a fare quel che voglio?". Ho passato una buona parte del mio tempo facendo quello che volevo, e mi sono dilettato in far partire aziende, sviluppare tecnologie, e altre cose del genere, che mi permettessero di fare i film che volevo. Ho anche sempre seguito il mio personale gusto del momento, facendo ciò che allora mi sembrava più interessante. Non ho mai avuto un vero "piano", del tipo: "devo andare da qui a là, e queste sono le cose da fare". Se c'è un piano sotto a tutto questo, è: "ho un mucchio di film da fare, questo è quello che sto facendo adesso, e il prossimo sarà quell'altro", cercando di concentrarmi su di uno solo per volta.
Apparso su "Guida completa a Star Wars: da Guerre Stellari a La Minaccia Fantasma", Falsopiano, 1999
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