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La Lady, i suoi cavalieri e la Forza
Il "Medio Evo" di Guerre Stellari
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di Sylvia McCosker |
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"Una leggenda medievale calata nello spazio più profondo", questo è in poche parole il significato della saga di Guerre Stellari per Mary Henderson. È lei ad aver curato un'esposizione sul film e scritto Star Wars - Magic of Myth, pubblicato nel 1981 da Bantam Books, rieditato nel 1997 come Star Wars - The Magic of Myth: Companion Volume to the Exhibition at the National Air and Space Museum of the Smithsonian Institution in occasione della mostra allo Smithsonian.
Proprio il suo studio ha tratteggiato le molte affinità tra i film di Lucas e le teorie di Joseph Campbell sul mito. E dal suo lavoro è emersa a chiare lettere la fonte di ispirazione di Lucas, probabilmente vicina allo specifico genere mitologico, nel senso più ampio del termine. Le influenze abbracciano il western, il pulp tipico di alcune riviste di science fiction, le tematiche vicine ai pirate movie, molto evidenti nel Ritorno dello Jedi e parecchi riferimenti al cinema di guerra, primo fra tutti The Battle of Britain. Ed è noto il rapporto del regista, in fase di stampa e di realizzazione, con alcune produzioni europee che si rifanno alle tradizioni medievali.
Il libro della Henderson ci chiarisce i contorni di questo discorso, ma anche senza il suo prezioso aiuto tutto suona molto familiare nella saga di Lucas: è sufficiente pensare ai fratelli Grimm, a Perrault (magari attraverso Disney), a Chrétien di Troyes e a Malory, a Tennyson, Wagner, ai cicli arturiani e a Robin Hood, persino ai film dei Monthy Python. Ciò nonostante un medievalista al cospetto di Star Wars è attratto non solo dalla continuità, ma dalla discontinuità. Infatti è stata utilizzata una serie di piste narrative, di accadimenti improvvisi, di personaggi e di immagini che la cultura occidentale moderna associa al cristianesimo medievale. Ma tutto si combina con altri presupposti spirituali. In maniera del tutto personale.
Ma un credo religioso differente, un dio (o più dèi) lontani fra loro culturalmente creano eroi diversi? A prima vista sembrerebbe di no. La trama totalizzante —di A New Hope per esempio, ma in tutta la trilogia la trama è considerata come una summa— è un chiaro indizio che ci riporta alla narrazione della tradizione medievale.
C'è una giovane donna e un piccolo manipolo di Cavalieri coraggiosi che devono salvarla dall'influenza di un Mago malvagio, dal Male. Nella loro impresa devono affrontare molte difficili prove: combattere contro draghi che sputano fuoco (le due Morti Nere, che riecheggiano anche gli oscuri castelli della tradizione), vedersela con un Cavaliere Nero (Darth Vader e —ne La minaccia fantasma— Darth Maul), come pure con il maestro del Cavaliere Nero, cioè il Mago Malvagio (Darth Sidious / l'Imperatore) le cui armate incantate / deumanizzate hanno l'aspetto di fantasmi o ombre (gli stormtrooper senza volto della trilogia classica)(o ancor meglio i futuri cloni di EpII, ndDC), oppure scheletri o pupazzi (i droidi da battaglia de La minaccia fantasma), tipici delle grandi saghe epiche. Come Robin Hood i cavalieri sono un piccolo esercito di partigiani del Bene nascosti nella foresta. E come nel Lohengrin di Wagner la Lady (Leia, e in un secondo momento Amidala) è associata fatalmente al potere legittimo e al Bene. Il Mago è un usurpatore, un tiranno. Lo Jedi "guardiano da mille generazioni, difensore della pace e della giustizia nella galassia" non è lontano dai cavalieri del Sacro Graal, dai Cavalieri di Malta o dai Templari.
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Darth Vader, il Cavaliere Nero della saga di Star Wars
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La similitudine non si conferma del tutto nella trama, ma resta senza dubbio ben visibile il rapporto con la grande tradizione epica. Tutto ruota attorno alla difesa degli ideali e al senso di devozione e di rispetto da parte dei personaggi, una circostanza che assume i contorni di un conflitto fra pietà filiale e dovere sociale, come nel caso di Luke, costretto a compiere azioni delittuose nel nome del Bene. E altri non meno importanti contenuti si rifanno al contesto fisico e morale, quasi una serie di test sulla volontà e sulla lealtà del gruppo che i Cavalieri di Lucas devono per forza sopportare. Una serie di prove di abilità che comprende rapimenti, fughe, duelli e singolar tenzoni in luoghi inospitali e dimenticati, lungo corridoi di castelli simili a labirinti inaccessibili.
Tutto suona familiare per chi conosce i testi medievali o i film leggendari su Robin Hood e Re Artù. E in particolare tre momenti spiccano rispetto alla componente allegorica. Non appena compare Han, egli deve fronteggiare e distruggere un bounty-hunter il cui nome, Greedo, ricorda quella cupidigia che è anche il primo difetto e tentazione di Han stesso e che solo verso la fine del film viene completamente superata. Allo stesso modo, nel prologo de Il ritorno dello Jedi, Luke combatte strenuamente e tra mille difficoltà per uccidere il Rancor, un mostro terribile. Anche in questo caso il nome riporta immediatamente al termine inglese "rancour", a quell'acredine maligna e amara che è anche la prima tentazione di Luke. "Non arrenderti all'odio" è ciò che gli dice lo spirito di Ben ne L'Impero.
Anche Leia deve fronteggiare e sconfiggere un mostro dal significato simbolico. Nel prologo de Il ritorno dello Jedi ribalta tutte le prospettive entrando nel covo del drago per salvare il cavaliere-principe Han, ma al momento tanto sospirato del trionfo, proprio mentre il cavaliere si risveglia dal suo sonno incantato, Leia cade nelle mani degli scagnozzi di Jabba ed è obbligata a sopportare un simbolico rapimento, ribellandosi alle attenzioni e ai baci di Jabba. Più tardi la ritroviamo in una sorta di harem, come nella migliore tradizione cinematografica, un'eroina catturata dal sultano, probabilmente umiliata in un rito, invisibile sullo schermo, di pubblica svestizione.
Una volta gli spettatori di sesso maschile hanno avuto la possibilità di gioire nel vedere maltrattata Carrie Fisher, con tanto di catena che le toglie il respiro. Quello che tutti si aspettano può ancora una volta cambiare di segno: la principessa uccide da sola il Drago. San Giorgio spiega alla principessa ormai in salvo come usare la sua cintura, un legaccio indispensabile per sconfiggere il dragone. Leia usa ciò che la tiene prigioniera per strangolare ed uccidere Jabba. Luke vince l'odio, Han ha la meglio sulla cupidigia, Leia sconfigge qualcosa di molto simile alla bramosia o, meglio, con un riferimento doveroso a Freud, la sua tendenza alla perversione polimorfa (1).
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Leia strangola Jabba con la catena che la imprigionava
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Un'altra cosa che un medievalista nota da subito è che qui i personaggi maschili non devono superare tentazioni di tipo sessuale e non devono affrontare i sortilegi delle streghe. Non ci sono le solite sirene, le arpie, non c'è traccia di Medusa né di Elena, di Didone o di Medea. I protagonisti non incontrano Lilith, Dalila o Morgana nell'universo di Lucas. La stessa Leia non cade mai in tentazione né è sedotta (2).
È chiaro che il suo amore per Han non può essere minacciato dalle cure casuali e dalla galanteria un po' ingenua di Lando.
Così, anche se la trama può apparire allo spettatore moderno di cultura occidentale molto vicina alla cultura medievale, le cose non stanno proprio così. A fare la differenza è soprattutto ciò che non c'è di medievale nella produzione del regista e non ciò che ci riconduce alle grandi saghe del passato. La stessa cosa si ripete con le ambientazioni. Vediamo labirinti, castelli, foreste, caverne, deserti, ma tutti questi luoghi sacri sono molto diversi da quelli medievali. Soprattutto, quasi nessuno prega. I personaggi dicono "Che la Forza sia con te", tuttavia è un nonsenso perché fin dal principio vediamo che può essere altrettanto prontamente al fianco di personaggi malvagi (3). A meno di non contare le "preghiere" di Luke allo spirito di Kenobi, gli ewok sono gli unici personaggi che pregano o venerano in maniera riconoscibile. Lo Jedi indossa un mantello che può ricordare i Benedettini, ma mai Lucas ci restituisce una cappella o una cattedrale (e non si vede perché avrebbe dovuto, ndDC). Tutti i luoghi sacri del Bene si rifanno alla tradizione pagana non
europea, come le piramidi di Tikal erano la base dei ribelli in A New Hope o gli idoli aztechi ne La minaccia fantasma. Ed altri due luoghi rappresentati come positivi hanno in realtà due nomi che ci riportano alla Bibbia in un senso completamente opposto: è il caso di Dagobah e di Endor. Il primo è un riferimento al dio-pesce fenicio Dagon (4). Endor era invece la casa delle streghe (Saul consulta infatti una medium a Endor per aver un consiglio dallo spirito del profeta Samuele e non ottiene altro che un messaggio di morte e distruzione (5)). Lucas ribalta tutto ciò che solitamente si associa a questo nome: nella sua saga Endor è il luogo della vita e della vittoria.
Anche le armi dei "cavalieri" Jedi allontanano Star Wars dall'epica medievale. Le sciabole di luce non sono spade. Più precisamente non hanno certo la foggia di una spada, non c'è nulla che ci faccia intravedere un'elsa e una lama (6). E non sono neppure dono degli dèi, come nella tradizione greca e nordica. Sigfrido riforgia una spada spezzata, ma Luke perde le armi del padre senza far altro che ricostruirne di completamente nuove (7). Rispetto alla Forza, la spada di luce è molto più una proiezione del sé di Excalibur.
Il titolo della saga è da parte sua molto astratto se paragonato con le grandi opere epiche medievali e classiche, di solito legate al nome del protagonista (basti pensare all'Odissea e all'Eneide): non certo Guerra dei Mondi, o Guerre dello spazio, o Guerra tra le stelle, ma Star Wars, "stelle guerreggianti", le stelle (il fato) in guerra (8). Ho fatto riferimento alla familiarità dei caratteri e della trama ma il riferimento vale fino a un certo punto. Luke assomiglia a Parsifal o Galahad, fin quando egli impara la levitazione e la trasmissione del pensiero. Il mantello benedettino di Kenobi ci riporta ai monaci medievali. Lo incontriamo come un cavaliere-eremita medievale nel deserto, mentre fa penitenza per gli errori che ha commesso. Subito dopo comprendiamo che sotto il mantello egli veste alla giapponese e quando parla il suo vago panteismo, come pure il suo punto di vista sulla verità, non sono quelli che ci aspetteremmo da un eremita del medioevo. Darth Vader (Anakin Skywalker) pare rivelarsi come Mago Merlino, creato dall'equivalenza di Lucas come un elemento fondante (uno dei quattro elementi?). Con l'eccezione che Merlino, il bambino del demonio redento e battezzato, diventa il consigliere di un re buono, mentre Anakin, il bimbo perfetto (probabilmente buono) diventa il discepolo-schiavo di un terribile tiranno e si redime con un sacrificio solo nel finale. Anakin, il nome dell'identità positiva di Vader, fa il paio con Anakim, i giganti pagani che perseguitarono gli Israeliti. Un medievalista cristiano, guardando Star Wars, spesso è colpito da un effetto-specchio: crede di riconoscere qualcosa di importante ma il suo significato è come capovolto o dietro la facciata (9).
Comunque non è sempre e solo così. Han Solo (Lone Hand!), interpretato da Harrison Ford, un attore mezzo ebreo e mezzo irlandese, è a sua volta molto vicino ai modelli medievali. È una combinazione fra il pistolero dei western e il campione che appare e scompare, forse anche un romantico fuorilegge alla Robin Hood con il suo amico Little John sempre al fianco. Han non è Parsifal o Galahad, ma è piuttosto un personaggio molto concreto, passionale e mai domo, un po' come Lancillotto e Tristano. In ogni caso il suo modo di amare non è mai adulterino o tragico: Lucas parte sia dalla tradizione western sia dalla maggior parte della tradizione medievale per "addomesticarlo".
Ma la cosa che colpisce di più un medievalista è il nome dell'astronave di Han: come un cavaliere del medioevo anche lui possiede un uccello predatore e per questo cavalca il Millennium Falcon. Nella letteratura medievale ogni ruolo si identifica con una specie particolare di uccello. Il falcone identifica prevalentemente la regina. Dubito che Lucas ne fosse a conoscenza, ma è molto bello e appropriato che Han utilizzi il Millennium Falcon proprio per portare in salvo Leia. Sono Han e il Millennium Falcon a trasportare Leia attraverso l'Impero. Il rapporto stretto fra Han e la sua nave spaziale rende così sorprendente il matrimonio con la principessa? Lo stesso Han è, in fondo, il falcone che si identifica con la regina, proprio come il predatore che dà il nome alla sua astronave. L'identificazione è particolarmente viva nel finale de L'Impero. Han è "morto", fuori dalla storia, ma quando Leia e Lando vedono il Falcon sulla piattaforma di decollo, la colonna sonora di Williams irrompe con il tema di Han, come se il suo spirito li stesse aiutando nella fuga.
E in fondo Han gioca nel film un ruolo molto importante. La sua scelta di perseguitare l'Impero contro i desideri di Kenobi, lo conduce a trovarsi al posto giusto nel momento giusto per salvare Leia dalle minacce della Death Star. È la sua intraprendenza a porlo a contatto con gli ewok, che gli consentiranno di salvare la sua missione.
È una sorta di guida e guardiano per Luke e Leia. Quando si getta nella mischia per salvare Luke in A New Hope, fugge dal sole. Mi domando se Lucas si è reso conto, da un punto di vista cristiano, che Han ha più degli altri una natura soprannaturale. L'episodio in cui Han viene tradito dall'amico, torturato e congelato (seppellito) ha molti tratti in comune con la Passione: il bacio di Giuda di Lando, Chewbacca che tenta di ribellarsi (come San Pietro) ma viene trattenuto dal Maestro, la stessa figura femminile presente in questo frangente. Fra tutti i personaggi, Han è il solo a morire e risorgere, comunque l'unico a rinascere.
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Han "muore" e risorge
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Luke, il cavaliere bianco, è un tipico prodotto dell'immaginazione sincretica di Lucas. Comincia la sua avventura come Parsifal, teso a seguire i passi del padre, o come Artù, nascosto per amore della salvezza. Superficialmente ricalca il tipico cammino del personaggio della classicità: impara ad usare le armi, è istruito nel combattimento, serve la principessa sua sorella, uccide il drago, e alla fine uccide e smaschera il cavaliere nero, liberando quindi suo padre dall'incantesimo. Luke ha una visione maligna a Dagobah ma non esperimenta nulla di parallelo in senso positivo che possa avvicinarlo ai cavalieri del Graal. E forse il dettaglio che ci dice di più sulla sua vicenda è quando ciondola su e giù per Bespin. La dura prova cui è sottoposto Han è riferibile senza dubbio alla tradizione cristiana (10). Luke recita a sua volta la parte dell'impiccato nei tarocchi. E ancora, a dispetto della grande autorità che Lucas assegna a Yoda e Kenobi, è la lealtà del tutto umana di Luke nei confronti di Han e Leia che prende i sopravvento alla fine. Se avesse ascoltato Yoda non sarebbe mai stato a Bespin. È ciò che gli accade a Bespin a renderlo più lucido nel duello finale con Vader. Suona allo stesso modo la convinzione di Lucas che vede il Bene prevalere in lui, non l'idea di Yoda o di Kenobi che considerano Vader ormai troppo lontano, al punto da affermare, riferendosi al Lato Oscuro, che "per sempre dominerà il tuo destino".
Il modo di rappresentare i personaggi femminili è una delle componenti in cui l'apparenza di continuità segna contemporaneamente il maggior distacco dai modelli medievali. Ho già avuto modo di sottolineare l'assenza di temperamento e di mostri femminili. C'è a questo punto da aggiungere che nella saga di Lucas non ci sono vecchie streghe, nessuna donna anziana che offre i propri consigli. Le figure spiritualmente caratterizzate, nel bene e nel male, sono indiscutibilmente maschili. In effetti una donna è pure presente nel Consiglio di La minaccia fantasma (in realtà sono tre, ndDC) ma la macchina da presa scivola velocemente su di lei senza neppure consentirle di pronunciare una battuta. A prima vista, Leia, Mon Mothma e Amidala sembrano aderenti al modello medievale, la Lady alla quale sono dedicate tutte le imprese cavalleresche. Nella tradizione medievale la devozione è comunque spirituale / erotica. Le donne di Lucas hanno ben poca brillantezza erotica rispetto a personaggi come Ginevra, Isotta o Beatrice. Sono piuttosto icone familiari (sororali) quando non caratterizzate in senso benigno e materno. Il vero nome di Mon Mothma riconduce alla figura materna, Mon è uguale a Mom, moth(er), quando non addirittura "momma". L'identità personale di Amidala, il suo corpo femminile, è ugualmente nascosto dall'abito e dalla velata identità di ancella che di tanto in tanto assume. La sua caratteristica posa da regina, seduta e immobile come una statua, l'avvicina all'Imperatrice e alla Giustizia dei tarocchi. Quando prende la parola in Senato sfoggia la luna crescente di Artemide o Iside nella sua capigliatura (11). Incontra il suo futuro innamorato, Anakin, quando è ancora un ragazzino, e lei è un'affascinante sorella maggiore. Leia ci appare come Artemide o Giovanna d'Arco (è una notazione della Henderson), la vergine guerriera pura e fiera. Il suo amore per Han la rende più donna, come accade alle amazzoni della tradizione. Lucas lo sottolinea soprattutto quando la ritrae urlante e bisognosa della protezione di Han mentre si imbatte in un mynock. Le capacità di Leia sono poi caratterizzate in senso erotico solo dopo il suo amore con Han. Han, non Jedi, è il testimone del passaggio di Leia dal suo essere donna al suo futuro di matrona. Le scene del loro volo e del loro corteggiamento sono inframmezzate dal rito di iniziazione di Luke, condotto da Yoda. L'elemento erotico è in ogni caso secondario e la loro storia d'amore risente della loro comune dedizione alla causa. Ne Il ritorno dello Jedi lo spazio dedicato alla loro relazione è veramente poco: anche l'ultimo fotogramma del film non è l'abbraccio tra due amanti (12) ma una giusta combinazione tra l'arrivo del sipario e il ritratto completo di una famiglia o di un gruppo vittorioso.
È giusto dire che ci sono altri personaggi che potrebbero essere analizzati secondo un'ottica medievalista. Per esempio C-3PO e Jar Jar Binks come "Fool" o, solo per fare un altro esempio, R2-D2 come il nano, ma ciò che abbiamo già detto fino ad ora può già dare un'idea abbastanza precisa delle intenzioni di Lucas.
Come si comporta quindi Lucas come narratore? Con un intelligente uso della variazione. C'è qualche inesattezza nel racconto, questo è vero. Come possono infatti, per fare un esempio, Han e Leia a raggiungere Bespin in un altro sistema solare senza utilizzare l'iperspazio? Supponendo pure la velocità della luce la distanza tra una stella e l'altra è davvero notevole. Non mancano anche dialoghi molto lunghi e sequenze altrettanto articolate (la Pod Race ne La minaccia fantasma fa sfacciatamente il verso alla corsa di Ben Hur, è solo più grandiosa, più rumorosa e più veloce).
Ma il problema più grande da questo punto di vista sono la teologia e la metafisica. Ciò che i personaggi ci dicono rispetto alla Forza non è di grande attrattiva per chiunque conosca la storia del Dio cristiano e addirittura di Zeus e Apollo.
Se "la vita l'ha creata e vivificata" allora, per così dire, "noi abbiamo creato degli dèi e gli dèi siamo noi" (una vera apoteosi della "generazione dell'Io"). È divisa in luce e buio, ed è tanto intrinsecamente morale quanto l'elettricità, siccome è usata indifferentemente dai personaggi buoni e da quelli malvagi. In un universo dove si suppone che questa vaga Forza sia un'ultima testimonianza di realtà è strano incontrare una storia in cui tutto pare collegato, anche nelle scelte di tipo morale, ai modelli di stampo classico e medievale; anche nella considerazione della lealtà individuale e nella possibilità del pentimento.
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La Forza
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"Una leggenda medievale", abbiamo detto con Mary Henderson, "calata nello spazio", ritagliata via dalla fiera teologia personale che gli diede un solido punto di riferimento metafisico per quasi un millennio, e inserita in un vuoto interstellare nutrito di un panteismo implicitamente amorale e senza passione (13).
La storia va oltre tutto questo. Anche se abbandona un'idea concreta di dio e continua ad affermare la personalità umana. Ma il ricorso al contesto spirituale cambia non poco le cose. C'è la rappresentazione dimessa dell'eros di cui abbiamo già parlato, la perdita di temperamento di alcuni personaggi e il trattamento riservato alla storia d'amore tra Leia e Han. E anche la rappresentazione della morte è molto significativa, basti pensare alla smaterializzazione dei corpi di Kenobi e di Yoda. I cristiani medievali erano pur sempre degli asceti, ma la loro rigida teologia li teneva lontani dall'affermare che l'universo materiale era malvagio. Così, da una parte l'energia riservata al sesso, e dall'altra la preferenza accordata alle pratiche funerarie. I corpi erano destinati alla resurrezione, la gente del medioevo si preservava da racconti pagani in cui gli eroi scomparsi erano bruciati sul rogo, e non praticava la cremazione. Lancillotto viene sepolto, non cremato. Al contrario, Lucas arriva vicino ad affermare che il mondo fisico è illusorio o malvagio proprio a causa della sua fisicità. "Esseri luminosi noi siamo", afferma Yoda, "non questa materia grezza". È forse questa l'"antimateria" filosofica, nel senso di concezione moralmente negativa della materia, espressa dal torrente di effetti speciali che sommerge gli attori in carne ed ossa ne La minaccia fantasma?
Tutto sommato, si tratta della storia di un giovanissimo schiavo che collabora nel salvataggio di una regina e diventa un apprendista cavaliere. O forse ancora la storia di un cavaliere dai mille ideali e di un romantico fuorilegge che aiutano la principessa e i ribelli di Robin Hood a sconfiggere un Cavaliere Nero, a liberarsi di un Drago, a demolire un oscuro e inquietante castello. E alla fine ad avere la meglio sul malvagio tiranno e usurpatore. Questa storia, che punta a ripristinare una forma giusta di governo fra gli uomini, ha forza sufficiente anche da sola (specialmente con l'aiuto della colonna sonora di Williams) per coinvolgere una sempre più grande platea, persino un medievalista che sobbalza sulla sedia ogni volta che i personaggi invocano la "Forza" per raggiungere i loro obiettivi.
Apparso su "Guida completa a Star Wars: da Guerre Stellari a La Minaccia Fantasma", Falsopiano, 1999, in collazione con una versione differente, a tratti più ricca di spunti, apparsa sul sito Anglican Media Sydney, "culture @ home".
Sylvia McCosker ha conseguito un dottorato superiore di ricerca in Lingua e Letteratura Inglese Antica all'Università di Sydney.
L'ottica medievalista della McCosker in questo breve saggio è al tempo stesso il suo maggior pregio e il suo più evidente limite. Ripetutamente la studiosa dimostra una sorprendente ristrettezza di vedute e pare volere, o meglio dovere, applicare per forza il metro del medievalista a Star Wars, quasi criticandolo quando non corrisponde agli schemi da lei attesi in base ai propri studi. Rimproverare alla saga di Lucas di non essere compiutamente "medievale" è un non senso; non lo si dovrebbe rimproverare neppure a Tolkien, che fa fantasy medievaleggiante, meno che mai a Lucas che si è lanciato nel fantasy / space opera con influenze orientali.
Clamorosa, in questo senso, la negazione dello statuto di spada alle lightsabers della saga, in quanto esse non avrebbero nulla della spada — si legga: della spada medievale europea, l'unica che ha diritto di esistere nell'orizzonte speculativo della studiosa. Poco importa che l'elsa ci sia, la lama (di luce) anche e che comunque la somiglianza più forte sia quella, conclamata, con la katana giapponese: se non corrisponde al modello medievale, non esiste. A disturbare è proprio questa strisciante arroganza culturale con la quale la McCosker procede, come se tutto ciò che non è medievale non contasse o addirittura non esistesse affatto.
Questo pur ottimo saggio ci deve anche insegnare un'importante lezione sui pericoli insiti della specializzazione settoriale: stiamo attenti a evitare che il nostro campo di studio ci imprigioni chiudendo i nostri orizzonti.
Accanto a molti spunti interessanti la McCosker inanella una lunga serie di affermazioni assolutamente peregrine e indimostrabili, fatte passare per verità assodate con una noncuranza dello scrupolo filologico / scientifico che lascia sorpresi in una studiosa. Censurabili l'assurdo riferimento al dio-pesce Dagon, l'ipotesi della "perversione polimorfa" di Leia di freudiana ascendenza, del tutto fuori luogo, il paragone dell'abito di Amidala con la luna crescente (?) di Artemide e la lettura di "star wars" come "warring stars", irrispettosa del dato di fatto linguistico.
Ci fa storcere il naso anche il paragone delle sofferenze di Han Solo alla Passione di Cristo. Riportiamo l'interessante spunto della McCosker nella sua giusta prospettiva. La "passione" di Han è in effetti preceduta da un tradimento e comporta una "morte" e "rinascita", ma le somiglianze si arrestano qui: chiamare in causa la Passione di Cristo è gratuito e inopportuno, sia perché questa ha valenza salvifica, mentre le sofferenze di Han fanno solo parte dell'iter del personaggio, sono delle "traversie" sulla sua strada verso la maturazione umana; poi perché questo riferimento non è assolutamente necessario, non è assolutamente l'unico possibile.
Ancora una volta la sicumera con la quale la studiosa porge le proprie (spesso discutibilissime) conclusioni riesce a indispettire: al lettore inesperto presenta il paragone da lei stabilito come l'unico possibile. Quale altra "passione" può esserci se non quella di Gesù Cristo, tra l'altro impegnativa da tirare in ballo? Ebbene, se la McCosker uscisse dal suo settore, e non filtrasse tutto solo in ottica cristiano-medievale, saprebbe che l'antichità classica e quella del vicino Oriente (per restare in area mediterranea) sono piene di eroi che soffrono, muoiono e rinascono. Il mitologema in questione è uno dei più diffusi in assoluto nella tradizione culturare. Nella Grecia antica non si contavano i miti sui pathemata ("patimenti", "passioni") degli eroi, non ultimo il popolarissimo Eracle (o Ercole), noto anche a chi è digiuno di cultura classica. Ogni eroe aveva il suo culto specifico, ed era "eponimo" di una città, l'equivalente dei santi protettori. Per non parlare dei culti agresti del Re del Grano, che rappresenta l'Anno Vecchio e che deve morire e rinascere per garantire il ciclo della vita: queste credenza pagane sopravviono anche oggi in rituali folcloristici ben documentabili in tutta Italia, e non solo da noi, nei quali pupazzi di legno o di paglia vengono bruciati in una festa annuale.
Il mitologema dell'eroe che soffre, muore e rinasce, dunque, esiste ben prima della Passione di Cristo, la quale nel mito "pagano" di Star Wars e in particolare nella vicenda di Han Solo non c'entra affatto.
Scomodare la Passione di Gesù è il sintomo di una sorta di pigrizia culturale (non osiamo parlare di ignoranza), della ricerca del paragone più immediato e scontato, nonché meno appropriato, secondo una prassi che si addice al lettore profano ma certo non a una studiosa universitaria.
Teniamo per ultimo l'attacco alla Forza.
L'errore della McCosker, e di altri che in altre sedi hanno attaccato la metafisica e la "teologia" di Star Wars, è quello di criticare l'opera perché non è una religione.
[...]"A fare la differenza è soprattutto ciò che non c'è di medievale nella produzione del regista" [...] "Soprattutto, quasi nessuno prega. I personaggi dicono "Che la Forza sia con te", tuttavia è un nonsenso perché fin dal principio vediamo che può essere altrettanto prontamente al fianco di personaggi malvagi. A meno di non contare le "preghiere" di Luke allo spirito di Kenobi, gli ewok sono gli unici personaggi che pregano o venerano in maniera riconoscibile".
Se Star Wars deve contenere in sé —come confermato da Lucas— una metafora del divino (e della fede), non gli si può chiedere di darne una rappresentazione diretta, perché —appunto— non avremmo più una metafora. Se i personaggi di Star Wars pregassero direttamente, proprio come nelle religioni terrestri, otterremmo la rottura dell'illusione scenica: quella rappresentata non sarebbe più una galassia lontana lontana, ma la chiesetta dietro casa nostra. SW è Mito con valenza metaforica; ed è mito pagano, ovviamente. Non è né solo cristiano, né solo buddhista, non è la vetrina di una religione specifica. Tutti hanno sempre tentato di reclamare i "diritti" sulla metafisica starwarsiana, cercando di aggiustare le discrepanze per far calzare i film di Lucas sulla loro teologia; è vano provarci, in quanto ci sono elementi di tutte le religioni passati in filigrana, elevati a simbolo universale, ma certo non messi in scena nella loro forma diretta: SW non deve essere un film religioso, sulla religione o peggio un documentario. È mito che tratta simbolicamente temi religiosi, tutto qui.
L'osservazione della McCosker che "lo Jedi indossa un mantello che può ricordare i Benedettini, ma mai Lucas ci restituisce una cappella o una cattedrale" suscita purtroppo il riso più impietoso e ci fa interrogare sulla chiarezza di idee dell'articolista. Si rende conto la McCosker dell'argomento di cui parla, o è forse incapace di concepire un'epica, un mito che non siano pedissequamente ricalcati —fino all'ultimo dettaglio— sul passato della nostra cultura, tanto da perdere ogni connotazione fantastica e farsi... film storico o documentario? Con questo metro anche l'opera di Tolkien otterrebbe da lei lo stesso (mal)trattamento.
"un panteismo implicitamente amorale e senza passione".
Non scorgere la profonda moralità di Star Wars è grave, significa non aver capito nulla. L'epopea lucasiana è nella sua essenza storia di tentazione, caduta, redenzione, sacrificio. Non è affatto la controparte narrativa della corrente di pensiero oriental-new age che vede nell'equilibrio (indifferente) tra Bene e Male l'essenza del mondo; ad esempio in Ep1 la perdita dell'equilibrio della Forza non è il passaggio dall'equilibrio paritario "orientale" tra Bene e Male a un prevalere del Male ma una ricomparsa del Male che era latente, in letargo; e l'equilibrio che l'eroe predestinato Anakin dovrà riportare sarà il (temporaneo) annientamento del Male (l'uccisione dell'Imperatore / Darth Sidious), "rifiutato" e scagliato nell'abisso come l'Unico Anello che Frodo rifiuta e scaglia nel Monte Fato. Anakin non rimette i conti "in pari" tra Bene e Male ma annienta il Male; questa non è una visione zen / amorale che vede Bene e Male come realtà indifferenti, bensì è un'impostazione giudeocristiana.
In SW il Male è dunque perturbazione dell'equilibrio, proprio come nella Bibbia: da una situazione di stasi che è il Bene, il creato in quiete, sorge il Male, su istigazione dell'Avversario, il signore del Male (Lucifero, Sauron, Darth Sidious) e attraverso il cedimento di esseri intelligenti che seguono il libero arbitrio. La Forza di SW ha sì un Lato Chiaro e un Lato Oscuro, ma in effetti questo esiste anche nella realtà nella Vita e nella Natura: la Natura è da sempre madre e matrigna, lo è da quando il creato perfetto è stato "corrotto". E dunque in SW, come nella Bibbia, nel creato sono presenti sia il Bene che il Male. Per gli esseri intelligenti —e liberi di scegliere— l'uno conduce a una vita ultraterrena fatta di anima e di un corpo mistico luminoso, l'altro conduce all'annientamento, o comunque a un "quasi-nulla". Tutto ciò non è pagano, ma cristiano, se la McCosker non se ne fosse accorta.
"[...] Anche se abbandona un'idea concreta di dio e continua ad affermare la personalità umana".
Siamo seri: poteva Lucas parlare del Dio monoteistico? Doveva forse fare della sua saga una versione romanzata del medioevo? Lasciamo all'Autore la libertà creativa e accettiamo le cose così come sono, senza dire come dovrebbero essere. Non pretendiamo da Lucas ciò che non va preteso, ciò che non era suo compito dare. Come dimenticare, poi, che SW non è un'epopea radicata in un singolo momento storico e in una singola cultura? Non è né l'epos greco, né quello ebraico, né quello medievale, né quello orientale. È il primo mito a trasfigurare in modo fantastico elementi disparati, il primo mito multiculturale della storia dell'umanità.
È inoltre falso che SW compia l'apoteosi delle creature. Non parla di Dio, ma non glorifica neppure la personalità dei singoli: ogni impresa è resa possibile dalla Forza, dalla fede in essa riposta; e quando c'è di mezzo solo il cuore, come nel caso dell'eroismo di Luke per redimere suo padre, la grandezza morale del personaggio non lo glorifica più di quanto si faccia con i Santi, modelli sublimi di virtù.
"[...]anche la rappresentazione della morte è molto significativa, basti pensare alla smaterializzazione dei corpi di Kenobi e di Yoda. I cristiani medievali erano pur sempre degli asceti, ma la loro rigida teologia li teneva lontani dall'affermare che l'universo materiale era malvagio."
Ma è possibile —ci chiediamo— che sia così difficile capire che SW è mito dal valore allegorico? È mai possibile leggere la smaterializzazione dei Jedi buoni, saggi e santi come un messaggio trasmesso da Lucas con lo scopo di essere preso alla lettera, come una vera e propria lezione di metafisica? Possibile che non si intraveda semplicemente l'idea —resa visivamente pregnante!— che chi è "santo" anche quando il corpo viene meno continua a esistere con il proprio spirito?
Se prendiamo alla lettera le parole di Yoda sul fatto che noi siamo spirito e che il corpo è "crude matter", "materia grezza", in effetti ci troveremmo dinanzi a una visione pagana, platonica (di impronta orientale?), quella del corpo come carcere dell'anima. Questo non è il pensiero cristiano autentico: tuttavia il cristianesimo fu influenzato dal (neo)platonismo a partire dal II sec.; e quest'idea del corpo come fonte di corruzione, in teoria estranea al Vangelo, venne rafforzandosi per toccare l'apice proprio nel medioevo. Se non diamo delle parole di Yoda un'interpretazione radicale, e cioè che il corpo materiale è cosa malvagia (il che egli, del resto, non dice affatto), l'insegnamento sottolinea solo l'idea, comune probabilmente a tutte le religioni e allo stesso cristianesimo, di un semplice primato dell'anima sul corpo.
Lucas non afferma mai che tutto il mondo fisico è illusorio e malvagio, e non ci si avvicna quanto lei vorrebbe far credere: la breve frase di Yoda indica solo il primato della metafisica sulla realtà materiale, e cioè una sensazione che l'essere umano, da quando è tale, dalla preistoria, ha sempre sentito nel proprio cuore. C'è qualcosa di grande al di là: questo è il semplice messaggio spirituale che Lucas voleva consapevolmente proporre per contrastare il disinteresse agnostico, veicolandolo all'interno di un'epopea di fantasia egualmente decifrabile da uomini di culture disparate.
Risibile il modo in cui la McCosker pare scandalizzarsi per la cremazione, rifuggita come un'empietà nel medioevo da lei studiato, ma di fatto praticata dai celti, dai bretoni che popolano la tradizione mitica che informa profondamente quell'epoca; ed oggi accettata con serenità dalla Chiesa.
Infine alcune osservazioni in merito al parallelismo Sigfrido / Luke, a detta dell'autrice piuttosto debole. La McCosker dovrebbe analizzare più approfonditamente i legami tra SW e il mito nordico/wagneriano, per non cadere nell'errore di affermazioni grossolane del tipo: "Sigfrido riforgia una spada spezzata ma Luke perde le armi del padre senza far altro che ricostruirne di completamente nuove".
Sembra che l'autrice non si accorga della perfetta similarità tra i due personaggi. Se teniamo come base della nostra analisi la riduzione wagneriana del mito nordico (riduzione e riordino della materia oltretutto molto apprezzati da mitologi e filologi), vediamo che entrambi gli eroi sono figli di un essere eccezionale. E' vero che Siegfried è figlio di Siegmund, figlio del dio Wotan: ma essendo Siegfried nato da un'unione incestuosa di due gemelli (si noti bene: gemelli), egli può a buon diritto essere considerato figlio-fratello e, conseguentemente, figlio dello stesso Wotan.
Siegmund/Siegfried ricevono dal padre (Padre) una spada in dono, simbolo sia del retaggio divino, sia dell'aiuto del pater absconditus nei confronti del figlio in pericolo. Luke e Siegmund ricevono la spada nel momento in cui essi stanno per intraprendere il loro iter eroico, e la perdono entrambi nello scontro con il padre. La sconfitta segna un momento di stasi nell'azione, una pausa colma di presagi. Muore Siegmund, ma rinasce - è proprio il caso di dirlo - nelle sembianze del figlio-fratello Siegfried, che eredita la spada spezzata da Wotan. Egli la riforgia completamente, ne fa un'arma affatto nuova, tutta sua. Ed è qui che si afferma la libertà del personaggio, il suo affrancamento dall'Autorità divina e paterna. Con la nuova spada, Siegfried affronterà il Padre che gli sbarrerà il cammino e lo sconfiggerà. E Luke del pari: dopo la perdita della spada a Bespin, egli ne creerà una con la perizia di un bravo artigiano, segnando in tal modo a sua volta la propria presa di coscienza e l'affermazione della propria libertà.
Quanto ho spiegato credo sia sufficiente a confermare la superficialità dell'analisi della McCosker.
(commento di Davide Canavero e Chiara Marino)
Note:
(1) Riferimento a Freud che ci appare decisamente forzato.
(2) Certamente non sul grande schermo, ma in Shadows of the Empire (che è parte integrante della saga principale) questo tipo di tentazione classica per Leia c'è, con Xizor.
(3) Contesteremo questo attacco alla Forza in coda al saggio.
(4) Assolutamente no, ipotesi a dir poco azzardata, immotivabile e data per scontata con ingiustificata sicurezza: alla luce dell'influsso orientale, quello più forte in Star Wars e in particolar modo proprio in questa ambientazione, il nome Dagobah viene evidentemente da dagòba (o dagaba), nome dato a Ceylon allo stupa, un tipo di tempietto indiano, un monumento destinato a conservare reliquie o a ricordare episodi della vita del Buddha. Come la dagòba anche il pianeta Dagobah, il rifugio del maestro "zen" Yoda, è un luogo sacro, in questo caso una foresta, come in molti miti.
(5) La dizione esatta è En-dor, nome di una sorgente (non una "casa delle streghe"), presso la quale Saul consulta la veggente (I Sam 28:7-25).
(6) Queste righe sono inaccettabili, soprattutto perché esposte in forma non dubitativa: la McCosker dovrebbe uscire dai ristretti confini del suo settore. Le spade laser di Star Wars sono spade eccome, chiaramente ispirate alla katana giapponese, oltre che al gladius flammeus biblico. Si veda lo studio La spada del mito in questa stessa sezione, Influenze - Radici culturali.
(7) Costruire una propria spada significa affrancarsi dal padre (cfr. La spada del mito in questa stessa sezione, Influenze - Radici culturali).
(8) Altra lettura grammaticalmente inaccettabile, perché "warring stars", "stelle guerreggianti" è ben altro da "star wars". Indispettisce la perentorietà con la quale la McCosker fa affermazioni peregrine spacciandole per dati certi.
(9) Altri esempi: Saesee Tiin, maestro Jedi del Consiglio, ha l'aspetto demonico di un Satana con le corna da capro rivolte in basso; lo stesso dicasi per Eeth Koth, altro membro cornuto del Consiglio Jedi, dove certo tutti i maestri sono esseri saggi e benigni. E la lista di simboli rovesciati potrebbe continuare; ne ricordiamo ancora uno molto curioso: il volto di Darth Maul, che riprende una trama di motivi delle maschere del teatro kabuki (cfr. Dimmi come vesti e ti dirò... da dove vieni nella sezione Influenze - Influenze estetiche), è rosso: ma nel kabuki il rosso simboleggia la virtù e non la malvagità.
(10) Al contrario, i dubbi sono fortissimi. Come spiegato nel commento in coda al saggio, la McCosker pecca di visione specialistica, da medievalista filtra tutto in ottica cristiana: conoscendo meglio il mondo classico non si direbbe che se c'è una "passione" quella può essere solo una eco di quella di Cristo. Esistono i pathemata ("patimenti", "passioni") degli eroi greci, non ultimo il popolarissimo Eracle (o Ercole).
(11) Decisamente no: è noto che si tratta di un abito mongolo rielaborato (cfr. Dimmi come vesti e ti dirò... da dove vieni nella sezione Influenze - Influenze estetiche).
(12) E non si vede perché avrebbe dovuto essere così, dal momento che Star Wars nel suo complesso non è certo una storia d'amore.
(13) Contesteremo questo attacco alla Forza in coda al saggio.
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