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Il volto dell’ignoto
Star Wars come teatro di maschere
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di Chiara Marino |
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Tamino
Di', buon amico, sei stato tanto fortunato
da vedere la Dea della Notte?
Papageno
[...] Vederla?... Vedere l'astrifiammante
Regina delle Stelle?... Nessun mortale
può vantarsi d'averlo mai fatto.
Mozart, Il Flauto Magico, Atto I, sc. 2
Don Carlo
La sua voce! Il cor mi trema!
Mi pareva... qual terror!
Veder l'Imperator
Che nelle lane il serto asconde
E la lorica d'ôr.
Verdi, Don Carlos, Atto II, quadro 1 |
La saga starwarsiana, mirabile pastiche di molteplici generi artistici e letterari, è anche teatro di maschere. Non nel senso puro e semplice di "commedia di tipi", di Commedia dell'Arte —sebbene i tratti farseschi abbondino in tutto il corso dell'opera— bensì in quello di rappresentazione classica a tutti gli effetti, dove gli attori indossano un volto —una phersu (1)— ora tragico ora grottesco, per dar vita ad un essere "altro".
A ben vedere, in Star Wars pochi sono i personaggi non mascherati, e non è certo un caso che essi appartengano al Lato Chiaro. Ma se nel cappuccio, tratto fondamentale dell'abbigliamento jedi, ravvisiamo una forma di mascheramento, allora aumenta di conseguenza il numero di figure che celano —sia pure parzialmente— la propria identità (2).
È da tener presente che la maschera, in sé e per sé, riveste sempre un duplice ruolo: è travestimento, mimetizzazione, ma anche, paradossalmente, rivelazione, proprio perché simbolo palese di ciò che il personaggio da cui viene indossata realmente è. La visiera di Darth Vader rende infatti il volto del personaggio assolutamente inconoscibile per quasi tutto lo svolgimento della Trilogia classica, ma, nello stesso tempo, diventa essa stessa volto autentico e —soprattutto— metaforico di colui che tra l'io e il mondo ha posto una barriera invalicabile.
Vader è chiuso in una corazza simbolica che lo de-umanizza impedendogli ogni autentico contatto con il prossimo, e che proibisce a quest'ultimo di avvicinare a sua volta il Signore dei Sith. Anche in una delle vette del teatro musicale dell'Occidente, il mozartiano Flauto Magico —sotto alcuni aspetti altra fonte certa della Saga— esiste una figura che impersona la potenza del Lato Oscuro cosmico: l'Astrifiammante Regina della Notte, il cui volto è perennemente coperto da un velo nero. Elmo e velo, tanto per l'uno quanto per l'altra, sono dunque barriere oltre le quali all'interlocutore non è concesso andare, anche perché la maschera è, in questi casi, strumento di difesa. Vader e la Regina della Notte, personaggi "neri", sono in fondo vulnerabili proprio perché vittime del Male e prigionieri del potere da essi stessi esercitato, il quale altro non è se non un accecamento della coscienza, una dissimulazione dell'io profondo.
Del pari mascherata risulta Amidala, rivestita di stoffe sontuose e pesanti che trasformano la sua figura umana in un'icona lontana ed irraggiungibile come quella di un'imperatrice cinese (3). E questo perché la regalità, soprattutto nelle società arcaiche (e non solo), deve essere appariscente, deve colpire l'immaginazione dei sudditi e sottolineare quindi il limite che esiste tra chi governa e chi è governato. Da qui discende che gli stessi strumenti del potere devono essere caratterizzati da un volto fittizio altamente simbolico. Gli assaltatori imperiali e le guardie rosse —figure in armatura— appaiono come automi viventi i primi, perfette rappresentazioni dell'homo militaris inquadrato in un sistema alienato ed alienante in cui l'individualità risulta schiacciata, cancellata, annichilita del tutto; arcane, ieratiche apparizioni le seconde, mute e spettrali custodi di un potere esclusivo ed egotista, circolarmente e perennemente ricondotto a se stesso. Entrambe queste rappresentazioni della negatività totalitaria, cromaticamente rappresentate dal bianco, che, ricordiamolo, è colore del lutto in alcune culture, e dal rosso, simbolo del sangue, sono appunto maschere inquietanti proprio perché in esse il limite tra umano e non-umano, noto ed ignoto, realtà ed irrealtà risulta molto incerto.
Simili alle guardie rosse, e a queste legate da un nesso figurativo sottile, sono le statuarie guardie del Senato in Episode I. Anch'esse impassibili, solenni, color blu notte, portano un elmo il cui disegno è tratto dall'iconografia greca classica. Però, contrariamente alle forze imperiali totalmente celate dalla visiera, esse presentano ancora buona parte del viso: la Repubblica, infatti, sebbene in progressiva quanto inesorabile decadenza, non ha ancora perduto la propria umanità.
A questo punto, dovremmo ammettere secondo ragione che la maschera in quanto accessorio teatrale, come elemento imprescindibile del corredo d'un attore che si accinge ad entrare in scena —e ricordiamo che anche gli strati e strati di cerone, l'accentuazione del disegno degli occhi e della bocca sono essi pure un tipo di maschera, e vedremo tra breve come questo espediente consueto nel teatro moderno trovi una sua applicazione nella Saga— tende da una parte a cancellare la personalità di chi la indossa e dall'altra a rendere meno credibile, perché più irrealistico, il personaggio personificato. Questo in parte è vero, almeno nell'ottica del teatro moderno di tradizione che ricerca e propone il legame con la realtà. Tuttavia la questione è molto più complessa: non è detto che l'accessorio sia necessariamente anche un impedimento.
Se infatti osserviamo con la dovuta attenzione i volti del teatro Nô, intagliati nel legno di cipresso e dipinti a mano con arte e sapienza antiche, ci accorgiamo che, a seconda dell'angolatura prospettica, la loro espressione muta sensibilmente. Ecco dunque che il travestimento, lungi dall'inibire la naturalezza dell'attore, se ne fa paradossalmente complice, contribuendo in tal modo ad accrescerne le potenzialità drammatiche. La maschera diventa dunque, nella finzione scenica, un volto reale.
Sappiamo infatti che la maschera del teatro classico rivestiva anche una funzione pratica, quella cioè di amplificare la voce, di modificarla, divenendo dunque ausilio del soggetto recitante. Questo particolare è sottolineato proprio da James Earl Jones, voce —come è noto— di Darth Vader, che in una lunga intervista rilasciata a Scott Chernoff così si esprime sul fatto di prestare la voce ad un personaggio mascherato: "I Greci, nel loro teatro, portavano maschere dietro le quali erano del tutto naturali. Compito dell'attore greco era quello di farsi udire fino agli ultimi ranghi delle gradinate. Credo che la maschera permetta di liberarsi e di utilizzare la propria energia in modo assolutamente alternativo" (4).
Recitare indossando un volto comporta effettivamente una modificazione profonda della gestualità. In assenza di tutte le gamme delle espressioni facciali, l'attore è costretto a ricorrere alla sola mimica corporea per esprimere i vari stati d'animo che il personaggio interpretato richiede. Un lavoro certamente difficile, almeno nel teatro moderno e contemporaneo disabituato all'uso dei volti, ma che è stato splendidamente risolto da David Prowse, il quale ha saputo infondere al personaggio di Vader il giusto carisma, l'esatta regalità ed una calibrata autorevolezza. E c'è una scena in cui Prowse riesce persino, incredibilmente, a trarre espressività dall'imperscrutabile costume: stiamo alludendo al termine del colloquio su Endor tra Vader e Luke, dopo le definitive parole "Allora mio padre è morto davvero". C'è un istante di desolata sospensione, durante il quale Vader, rimasto solo, già sconfitto, si appoggia affranto al parapetto del ballatoio. Ebbene: risultano visibilissimi —pur oltre il travestimento scenico— il doloroso tormento, la disperazione profonda del personaggio. Lo si vede persino sospirare. Eccezionale caso di immedesimazione che tocca profondamente lo spettatore attento. Basta dunque un solo gesto, sia pure impercettibile, per dare conferma alle parole di James Earl Jones poco sopra citate.
Suggerivamo un altro caso esemplare —l'ultimo di questo saggio— di maschera starwarsiana che rientra appieno nella concezione del trucco teatrale di tradizione: si tratta del volto di Darth Maul istoriato da tatuaggi. Con un complicato disegno condotto sul rosso e sul nero senza possibilità di sfumature funzionali, ma giocato esclusivamente sugli arabeschi di vago richiamo tribale (maori soprattutto), il truccatore Paul Engelen è riuscito a trasformare, rendendolo irriconoscibile, il viso sereno di Ray Park in una facies horribilis, in una vera e propria maschera demoniaca di enorme magnetismo. Trucchi di questo tipo sono comuni nel teatro d'opera e di balletto (pensiamo al mago Rothbart de Il lago dei Cigni, soprattutto nella versione di Yuri Grigorovich per il Bol'shoi) e repertoriati in tutte le compagnie del mondo come caratterizzazioni di personaggi altamente stilizzati.
Il risultato visivo derivato dall'ampio utilizzo di volti fittizi è altamente straniante, e la maschera costituisce uno dei non rari elementi in funzione simbolica che, disseminati qua e là nella Saga, sono destinati ad accrescerne il parossismo figurativo.
Impiegato come mezzo deformante, tuttavia mai grottesco —ammesso che non sia tratto fondamentale di qualche specie aliena— o semplicemente banale, il volto dell'immaginario drammatico starwarsiano ripristina un'usanza risalente all'antichità più remota, all'origine stessa dell'uomo, e conferma quindi la Saga come un'opera d'arte in cui sono tentate, simultaneamente, delle strade che soltanto Ejsenstein aveva osato percorrere nella cinematografia: la stretta connessione tra musica e dramma, il movimento come pura funzione sostitutiva della parola (5), l'occultamento del volto dell'attore che si annulla per dare forma ad uno, nessuno, centomila personaggi dei quali non è dato conoscere la reale natura.
In tal modo Star Wars diventa anche teatro dell'astrazione.
Note:
(1) Termine etrusco ( > lat. persona,-ae ) che designa, appunto, la maschera teatrale. Persona acquisterà in seguito, con slittamento semantico, il significato corrente a tutti noto.
(2) Sulla simbologia del cappuccio e dell'elmo rimandiamo al saggio di Giulia Garbin Ma che cosa ti sei messo in testa?, in questa medesima sezione dell'Athenaeum. Nel corso della presente trattazione non affronteremo, ad esclusione di un solo caso, l'analisi di quelle maschere che, nella Saga, costituiscono il volto reale degli alieni, privilegiando invece esclusivamente gli elementi di mimetismo sovrastrutturale di alcuni costumi.
(3) I riferimenti alle culture cinese, giapponese e mongola emergono particolarmente nel personaggio della giovane regina.
(4) Lucasfilm Magazine, n° 23, maggio-giugno 2000.
(5) A questo proposito rimandiamo al nostro saggio Il Demone della Danza, nella sezione MUSICA di questo sito.
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