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L'eroe tragico
Parallelismi tra la saga di Star Wars e la tragedia greca
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di Davide G. Canavero |
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Forse ad alcuni l'accostamento della saga di Star Wars alla tragedia greca, quella remota e per noi quasi incomprensibile esperienza della cultura ateniese del V sec. a.C., apparirà assurdo, o almeno sacrilego. Cosa possono avere in comune —si chiederanno gli eruditi— le opere che costituiscono l'acme della perfezione letteraria e dei moderni film per ragazzini pieni di effetti speciali? O, riformulando la domanda dal punto di vista dell'appassionato tipico di Star Wars: cosa possono avere in comune un universo fantastico, pieno di avventura, spettacolare, divertente, e quei cori lugubri e terribilmente noiosi che dialogavano con attori mascherati appassionando i greci di 2500 anni fa?
Molto più del previsto, a dire il vero. Perché se da una parte l'epopea di Lucas non è solo avventura e spettacolo per gli occhi, dall'altra la tragedia greca non è solo un piagnisteo su vicende, appunto, "tragiche" e lontanissime dal nostro vivere quotidiano: anzi, è una specie di sacra rappresentazione del destino di tutti gli uomini attraverso casi estremi di uomini estremi, che hanno sempre qualcosa in comune con noi moderni; sempre. Quando essa mostra che al posto dell'eroe tragico potremmo esserci noi il suo impatto è un pugno nello stomaco. Altro che due millenni e mezzo di distanza: la tragedia è qui ed ora; è l'enigma del vivere.
Tragedia? È una cosa triste? È una cosa noiosa?
Sotto alcuni aspetti Anakin Skywalker e Luke Skywalker sono autentici eroi tragici.
Una breve introduzione alla tragedia è d'obbligo: altrimenti come pensare anche solo di potersi accorgere della parentela degli eroi di Star Wars con quelli antichi?
Non c'è spazio per spiegare tutto sulla tragedia greca, un prodotto unico e irripetibile dello spirito ateniese del V sec. a.C. sul quale esiste una letteratura critica che conta decine di migliaia di volumi. Ma è importante sottolineare subito qualcosa che farà piacere ai fan di Star Wars e che suonerà poco usuale a chi è abituato per deformazione intellettuale a vedere la tragedia come una primizia per eruditi: all'epoca della sua fioritura essa era poesia sommamente "popolare", né più né meno del cinema nel nostro secolo. Non era affatto un'esperienza esoterica riservata a pochi dotti in grado di gustarla, ma al contrario era una forma di psicanalisi delle sole masse popolari. La tragedia —come la crea Sofocle e come la teorizza più tardi Aristotele— si rivolge alla parte irrazionale del cervello e serve a far sfogare l'inconscio dell'uomo comune, attraverso la cosiddetta catarsi. Svolge una funzione per certi versi simile al test Voigt-Kampff di Blade Runner.
Appuntamenti col destino
Il potenziale tragico del vivere sta nel fatto che ogni realtà può rovesciarsi nel suo contrario, come emerge dai due (o più) livelli di lettura della realtà stessa: quello apparente —da cui gli uomini sono sviati, inseguendo una verità falsa— e il livello profondo, quello dell'autentica verità, che spesso è celata. Un eroe tragico come Edipo, ad esempio, non sa chi siano davvero coloro che lo circondano, e così accade a Luke nei confronti sia di Vader che di Leia. Un attimo prima la vita ha un volto ben definito e un istante dopo, con la scoperta di un'identità, tutto può capovolgersi, senza che nella sostanza sia cambiato nulla. La conoscenza, che determina la nostra realtà soggettiva, è la chiave di tutto: ad essa tende l'eroe, per poi scoprire l'opposto di ciò che cercava. Edipo non brama altro che la conoscenza, ma quando la raggiungerà vi troverà la più assoluta disperazione.
Il caso di Luke è analogo. Come Edipo, che si allontana da una patria presunta e va incontro a un padre e a una madre che non sa essere tali, così Luke affronta un padre che non può riconoscere e sfiora la possibilità tragica di esserne egli stesso l'assassino, l'opposto di ciò che si prefiggeva: vendicarlo. Ecco rappresentato esattamente l'archetipo massimo e più perfetto del concetto di peripezia tragica. Tutto può rovesciarsi nel suo opposto, gettando l'eroe in un abisso da un momento all'altro. E non è forse un abisso quello in cui si lascia cadere Luke a Cloud City, dopo la rivelazione?
In modo particolare in quel genio dell'azione tragica che è Sofocle, autore dell'Edipo Re (forse il sommo capolavoro poetico di ogni tempo), le azioni dell'eroe tragico hanno giustificazioni soggettive che sono però in contrasto col valore oggettivo delle azioni stesse: in breve, il protagonista agisce con buone intenzioni ma scopre che in realtà ha commesso un crimine: una “colpa innocente”, secondo la definizione del filosofo tedesco Herbert Marcuse.
Perché può avvenire una cosa tanto dolorosa? La risposta sembra non esserci e l'uomo, preda di un forte senso di angoscia e compassione, si trova dinanzi a un muro di nulla, che lo atterrisce. Questa inquietudine, suscitata ogni volta nello spettatore, era assolutamente voluta e fu teorizzata a posteriori da Aristotele. La tragedia doveva muovere a paura e pietà portando questi sentimenti a livelli parossistici, per poi placarli, un meccanismo tipico chiamato catarsi.
Luke è nobile nelle sue intenzioni quando si prefigge di sconfiggere un signore del male e vendicare il padre, per quanto la vendetta sia riprovevole secondo un'etica evoluta, e per gli stessi Jedi — tutti siamo un misto inestricabile di colpa e innocenza. Il premio del suo slancio è tremendo: prima il rischio di uccidere il padre proprio quando si prefiggeva il contrario; poi la scoperta della verità. In un certo senso questo esito può anche essere letto come il castigo per la vendetta. Ma simili metri di giudizio —colpa e innocenza, premio e castigo— sono estranei al concetto di tragico di Sofocle, per il quale tutto è incomprensibile: tanto il premio quanto il castigo. La saldissima fede di Sofocle lo induceva ad accettare i disegni imperscrutabili degli dei, come faranno poi i cristiani.
Può sembrare strano a noi moderni, che tendiamo, qualunque sia la nostra formazione, a pensare in termini etici usando concetti come colpa e innocenza. L'eroe tragico per sua definizione sta al di là del bene e del male, in un territorio "grigio" dove c'è solo l'uomo nella sua condizione ontologica, a prescindere dai giudizi etici.
L'uomo sociale divide bene e male, colpevolezza e innocenza, responsabilità ed estraneità per capire e sopravvivere al mondo, per mettervi ordine; o sarebbe solo furia o tristezza. L'eroe tragico invece si situa proprio al di là di tutto ciò, nell'incomprensibile insondabilità della realtà nuda e cruda: raffigura in modo sempre archetipico la verità primordiale della condizione umana, per quella che è, per come è; la verità strutturale che si sottrae alle formule successive della ragione e dell'etica; la condizione ontologica inspiegata e inspiegabile. La tragedia non può dire perché è così: dice solo che è così, e mette in scena lo smarrimento dell'eroe, smarrito come tutti dinanzi al problema fondamentale, quello del giusto sofferente. Perché spesso i giusti soffrono e i malvagi prevalgono? Perché Luke soffre e affronta per ucciderlo un uomo che crede l'assassino di suo padre e che invece è il padre stesso? Ha forse fatto qualcosa di male per meritarlo?
Un giudizio etico —ma per questo già fuori degli schemi del tragico puro, come ho detto— può essere il seguente: Luke è "punito" perché la vendetta che mette in atto è inaccettabile nell'etica di un Jedi, e come sempre accade la rabbia, l'odio, il Lato Oscuro conducono alla sofferenza. Fear is the path to the Dark Side; fear leads to anger, anger leads to hate, hate leads to suffering — aveva detto Yoda trentacinque anni prima al piccolo Anakin. Sofferenza che in questo caso per Luke consiste, oltre che nella mutilazione fisica, la meno dolorosa, nel rischio di essere lui stesso l'assassino del padre (cioè identificarsi con quell'assassino che nella sua convinzione voleva combattere!); e poi la tragica scoperta —questa sì una punizione pienamente e amaramente realizzatasi— che suo padre è il nemico stesso, con tutte le implicazioni del caso: cioè che è vivo ma, essendo malvagio e il suo peggior nemico, sarebbe quasi meglio fosse morto.
Ma questa spiegazione —che pure corre se pensata eticamente— sa di costruzione esteriore ed estranea all'ottica tragica, cui invece sembra rimandare questa parte della vicenda. È una spiegazione legittima ma a posteriori: poiché a priori, ontologicamente, c'è l'insondabilità del tragico, il mistero profondo per cui le cose sono quelle che sono e a colpa e merito non sempre seguono castigo e premio.
Inoltre come dimenticare che a muovere Luke verso Bespin abbandonando il suo tirocinio fu anche la visione di un futuro possibile (come quello dello specchio di Galadriel ne Il Signore degli Anelli) nel quale i suoi amici soffrivano? Non è dunque solo per vendetta che Luke va ad affrontare Vader prematuramente, ma anche per l'affetto verso i suoi amici e il desiderio di salvarli, un motivo encomiabile.
La realtà è complessa, meravigliosamente complessa.
Dire cosa avesse in mente di preciso George Lucas è difficile; quel che è certo è che studiò a fondo i miti catalogati da Joseph Campbell, tra i quali il tragico ha un ruolo importante.
Ma che fosse cosciente di tutto questo... quasi certamente no.
Luke
Cominciamo allora dal secondo personaggio, Luke, perché è nel mezzo che Lucas diede inizio al racconto.
Va detto subito che Luke rientra solo in parte nel modello dell'eroe tragico, a differenza di suo padre, una figura che incarna quel prototipo in modo pressoché perfetto. Luke è piuttosto assimilabile alla figura del santo, che però si trova invischiato nelle panie della peripezia tragica.
Come Edipo, Luke è circondato da persone delle quali ignora la vera identità: Leia Organa e Darth Vader, cioè i suoi congiunti più stretti, che egli all'inizio crede due estranei. Il pericolo di uccidere il padre e unirsi inconsapevolmente alla sorella gemella è assolutamente reale.
A tre anni dal suo coinvolgimento nell'Alleanza e dalla morte di Obi-Wan Kenobi, Luke giunge al duello fatale col suo avversario: affronta Darth Vader con la convinzione di stare vendicando suo padre Anakin, con in pugno la spada laser azzurra che a lui appartenne, in una vendetta simbolica. Come tanti altri Jedi, Anakin era stato tradito e assassinato da Vader, l'allievo perverso di Obi-Wan Kenobi; o almeno, questo è ciò che il vecchio Ben Kenobi disse al giovane agricoltore di Tatooine, quel ragazzo vestito di bianco, pieno di sogni e ideali, illuso che il mondo fosse semplice e squadrato, e che buoni e malvagi fossero come il giorno e la notte.
Ma quando, avvolto nell'abito grigio dell'incertezza, irrequieto e impaziente, si affretta ad affrontare Vader spinto dall'impazienza e dal desiderio di soccorrere gli amici, nonché animato da un sentimento dal quale i Jedi dovrebbero astenersi —il desiderio di vendetta— Luke si condanna a scoprire la verità nel modo più amaro.
Nel pozzo di Cloud City sfoga la propria ira contro colui che crede l'assassino del padre; ma, poiché non sa che in realtà è proprio contro suo padre che sta combattendo, il suo destino è puramente tragico nel senso in cui lo intendeva Aristotele, se è vero che nella sua forma più pura la tragedia è la condizione dell'uomo che, vivendo nell'ignoranza, rischia di ottenere un risultato opposto a quello che si prefigge. Questa è la trappola della "peripezia", la stessa nella quale cade Edipo.
"Peripezia" non è un semplice sinonimo di "traversia", "disavventura" nel senso moderno volgarizzato: tecnicamente indica un meccanismo perverso nascosto nella realtà, una sorta di "appuntamento col destino" che si compie quando ciò che vogliamo evitare è innescato paradossalmente proprio dai nostri sforzi. Nel caso di Luke, il voler vendicare la morte del padre —cioè un fatto che in realtà non era mai accaduto— lo stava mettendo nella condizione di poter uccidere per davvero Vader, il padre ignoto.
Oltre che per proporre il suo patto di governare la galassia insieme come padre e figlio, Vader fa la sua rivelazione anche per spezzare la foga del giovane e gettarlo nella confusione: altrimenti Luke avrebbe potuto avere la meglio. Se fosse accaduto egli avrebbe ucciso il padre senza saperlo, proprio mentre si prefiggeva l'esatto contrario; dunque nella forma più radicale e tremenda di peripezia. L'analogia con Edipo, che si dirige a Tebe non sapendo che quella è davvero la sua patria, la patria che scappando da Corinto crede di lasciarsi dietro con tutti i suoi oscuri presagi, è evidente. Una differenza, sostanziale, sta nel fatto che nella storia di Luke il meccanismo della peripezia si ferma all'aggressione nei confronti del padre, e il parricidio rimane una possibilità non verificatasi, in quanto il duello viene perduto da Luke, anche a causa della rivelazione che lo sconvolge.
Ma il destino di Luke sotto certi aspetti è più "tragico" —in senso tecnico— di quello di Edipo; perché se è vero che non è altrettanto luttuoso negli esiti fattuali, è sicuramente più spaventoso e amaro in potenza. Edipo uccise inconsapevolmente suo padre per pura arroganza, mosso dalla cieca prepotenza di chi non vuole cedere il passo sulla strada: ai nostri occhi la colpa c'è, ed è grande. Luke, invece, rischiava di uccidere il padre animato da una buona intenzione, quella di vendicarlo —benché aborrita dai Jedi e dall'etica cristiana, in molte culture la vendetta è addirittura un dovere—: questa ironia tragica, questa peripezia così perfetta avvicina Luke più di Edipo (!) al modello ideale dell'eroe tragico, che è poi "il giusto sofferente", colui che ottiene un castigo immeritato. Se Edipo, che era un misto di colpa e innocenza, aveva pur sempre compiuto un crimine a tutti gli effetti, Luke —pur non del tutto immacolato— è sostanzialmente un giusto; il suo errore di ricorrere alla vendetta è in parte scusabile e non può assolutamente paragonarsi alla cieca, barbarica violenza di Edipo. Insomma, la sofferenza di Luke ci fa soffrire di più; ci spaventa e ci commuove di più, per dirla con le categorie catartiche di Aristotele. Se l'uccisione del padre non si verifica, il rischio —pensato a posteriori— è ugualmente fonte di sgomento; e, più di tutto, è la rivelazione ad abbattere il cuore del giovane, perché appare di per sé un castigo ingiusto. Come 2500 anni fa il giusto soffre e la sua sofferenza ci scuote dentro, perché ci ricorda la nostra, diventando immagine universale della sofferenza immeritata, che tutti prima o poi proviamo sulla nostra pelle. L'effetto della catarsi è lo stesso di allora, anche se in Star Wars si esercita in parte a posteriori, con la riflessione più che in scena, dove parte degli eventi luttuosi di Luke resta in potenza.
Nessuno si sorprenda se a questo punto affermiamo che Luke ed Edipo in fondo non hanno molto a che spartire: Edipo, come vedremo, è molto più affine ad Anakin.
Edipo è uomo di dismisura, nel bene e nel male, salvatore e fonte di sventura, come Anakin; sono figure di stampo ancestrale ed eroico che si situano davvero al di là del bene e del male. Luke non appartiene a questa categoria, è invece il prodotto di uno stadio più moderno della civiltà: quello dei cavalieri e dei santi, per intenderci. Darth Vader (1)—l' "altro da sé" di Anakin— è una tragica figura legata ad un mondo primordiale, barbarico e pagano, non ancora toccato da principi appartenenti ad una società più moderna, spiritualmente più evoluta. Vader è l'esemplificazione del "dio peccatore" vittima della propria natura di essere potente, ma non onnipotente, che deve rispondere di ogni propria azione a quella realtà trascendente e davvero invincibile che ha nome Fato. L'etica di Anakin/Vader si basa sulla vendetta, sul principio dell'"occhio per occhio, dente per dente", principio circolare per eccellenza in quanto non implica trasformazione né evoluzione della realtà vissuta, bensì un eterno ritorno entro una dimensione ciclica: non v'è spazio, cioè, per l'attesa del perdono, dato e ricevuto, che si proietta in una dimensione futura (2).
Luke (3), invece, è parte d'un mondo che ha conosciuto la dimensione etica della sopportazione, della pietà e del perdono. Egli è certamente un eroe mitico —un Siegmund, un Siegfried— ma è come se la sua spada avesse perduto il feroce taglio primitivo per assumere l'aspetto della spada-croce dei Cavalieri del Graal, arma non più di sola offesa, ma anche e soprattutto di difesa.
Egli, pur vivendo a tratti una vicenda da eroe tragico, è piuttosto il "santo" della saga di Star Wars (come altrove spieghiamo) nel senso che la sua vita si impernia su scelte etiche moderne molto chiare, a differenza del padre Anakin, che segue l'antica istintualità eroica e tirannica, sfociante sempre nella dismisura (e anche la sua scelta di abbracciare il male è tutto fuorché meditata; cfr. la seconda pagina di questo saggio); il coinvolgimento di Luke nel meccanismo della peripezia tragica è in parte frutto del retaggio paterno e ci restituisce una figura di giusto sofferente davvero atipica: egli non è, come Edipo, un incomprensibile misto di bontà e malvagità, ma un individuo maggiormente polarizzato sulla base delle categorie etiche moderne e della dimensione spirituale in cui vive; poiché al tempo stesso è un uomo infinitamente più giusto e "santo" di Edipo (e dunque un giusto molto più sofferente), ma d'altra parte vive un caso in cui la colpa e la punizione sono chiaramente e strettamente connesse, a differenza di ciò che avviene nell'indecifrabilità tipica del clima tragico, dove i disegni del divino sono incomprensibili e apparentemente privi di logica. Dunque Luke soffre più di Edipo —perché le sue intenzioni erano buone—, è punito molto più ingiustamente di Edipo e al tempo stesso, da un altro punto di vista, è punito… più giustamente. Supera Edipo sul piano della tragicità in senso ancestrale e angosciante (perché? perché soffrire così se addirittura le intenzioni erano buone?), e lo supera ovviamente anche sul piano della razionalizzazione etica, secondo le categorie Jedi: si è spinto verso il Lato Oscuro con la vendetta ed ecco che proprio per quel motivo, proprio in quel frangente giunge a una rivelazione che per lui è una punizione tremenda, anche perché stava avvicinandosi al parricidio (ma allora… è forse anche un intervento provvidenziale che lo ferma in tempo?).
Nella prospettiva etica dei Jedi il comportamento di Luke a Cloud City è inequivocabilmente sbagliato: la vendetta non deve avere spazio perché essa è un abbandonarsi al Lato Oscuro della Forza; non è pace, non è calma, non è autocontrollo. Il giovane si stava mettendo sulla via sbagliata, quella che attraverso la paura l'ira e l'odio conduce proprio alla sofferenza. Da questo punto di vista la sofferenza di Luke sembra trovare una ragione, sembra configurarsi come una punizione meritata: c'è dunque una legge di retribuzione che regola premio e castigo? Il giusto che soffre è sempre davvero giusto?
Dare risposte continua a essere arduo.
Ciechi di sapienza
Nel momento in cui il giovane è confuso, rabbioso, troppo sicuro di sé, quasi in balia della propria aggressività e del potere che questa è in grado di richiamare, Darth Vader gli rivela ciò gli cambierà la vita, cioè che il nemico e il padre sono la stessa persona: Vader non ha ucciso Anakin, Vader è Anakin. Il mondo di Luke crolla all'improvviso e la vita rivela infine il suo vero volto, che è infinitamente più complesso e doloroso di come appariva fino a poco prima. Quando il giovane apprende la verità il suo grido di dolore è ben più straziante di quello sfuggitogli poco prima per la mutilazione fisica. La ferita nell'animo brucia mille volte di più. La mano si può ricostruire, l'antica innocenza no.
Meritata o immeritata che sia —difficile dirlo— la scoperta della verità è sia un castigo che un bene.
Dobbiamo fare un passo indietro, per indagare da dove nasca l'errore di Luke, la sua colpa secondo il codice Jedi.
Tutto iniziò quando Luke entrò nella grotta di Dagobah armato, disubbidendo a Yoda: se non avesse portato con sé le armi quale sarebbe stata la visione? Quale poteva essere la prova? Così invece, non fidandosi della raccomandazione del maestro e confidando nella violenza, l'apparente vittoria del giovane sulla visione di Vader si rivelò, secondo la regola del paradosso spirituale, una sconfitta. In preda al Lato Oscuro vincere significa perdere e, in questo caso, anche scoprire ciò che non si vorrebbe sapere. La vittoria / sconfitta nella visione, prefigurazione del successivo duello, conduceva a una prefigurazione sibillina della verità che sarebbe emersa in seguito: il volto di Luke sotto la maschera di Vader.
Ma era presto per capire. Benché attraverso oracoli e visioni una possibilità di scoprire la verità in anticipo sia offerta agli eroi tragici —sia a Edipo che a Luke— la cecità è destinata a durare finché non è troppo tardi. Da un certo punto di vista, Edipo e Luke non hanno saputo o voluto vedere la verità. L'eroe di Sofocle ha commesso una hybris contro gli dei, non volendo credere alla verità che gli venne messa innanzi esplicitamente fin dal principio; a Luke invece non si poteva chiedere di interpretare la visione che prefigurava la realtà: il suo errore è stato piuttosto quello di non avere sufficiente fiducia nella Forza, ma solo in sé stesso — con buona pace di coloro che leggono la Forza come auto-realizzazione (e sono tanti, ahimé).
Quando Vader rovescia addosso a Luke la verità con durezza, con poche nette parole, svela il significato della visione; ma quella verità era già scritta in prefigurazione fin nella radice del nome del Signore Oscuro: Darth Vader, come versione criptata di Dark Father, il Padre Oscuro. Quando Vader aveva sepolto il vecchio uomo chiamato Anakin assumendo il nuovo nome seminava già un indizio sul futuro: in quanto padre —oscuro perché malvagio ma anche perché nascosto— era scritto che la sua prole avrebbe riscattato i suoi errori, e avrebbe aiutato lui stesso a farlo.
Il velo posto sulla verità è tolto, e la visione sibillina avuta nella grotta di Dagobah rivela anche il suo secondo significato: non solo Luke ha rischiato di identificarsi col suo nemico agendo in preda alla collera (questa poteva essere la prima interpretazione, prima della rivelazione), ma ha scoperto soprattutto che il nemico è sangue del suo sangue. I due significati combinati ne producono allora un terzo: il rischio di identificarsi col nemico appare ora maggiore, perché non si tratta più di un nemico qualsiasi, ma proprio di suo padre, divenuto malvagio: come lui, anche Luke è vicino al baratro.
— il rischio di identificarsi con un nemico (ma estraneo)
— la prefigurazione della rivelazione
— identificazione + rivelazione = identificarsi col padre malvagio, un rischio doppio
La verità era scritta in diversi segni attorno a Luke, segni che naturalmente l'eroe tragico non sa interpretare in tempo. Edipo maltratta Tiresia che gli rivela il suo retaggio, Luke non ha sufficiente fede nella Forza. Sono due forme di hybris verso il "divino", due forme di tracotanza contro il soprannaturale: quando l'uomo si mette al posto del divino e ripone fiducia solo nelle proprie capacità, nella propria intelligenza o nella violenza. Sofocle, uomo estremamente religioso, in modo analogo a un sacerdote cristiano avrebbe consigliato di aver fede accettando la volontà divina. E gli insegnamenti di Yoda vertono proprio sulla fede nella Forza.
Luke e Leia
L'altro pericolo sfiorato da Luke è stato quello —contemporaneo e complementare, quasi l'altra faccia della medaglia— di amare, senza saperlo, sua sorella. Anche qui il mito di Edipo torna in mente, benché al posto della madre ci sia la sorella gemella.
Star Wars non è una tragedia greca in senso stretto, ovviamente, almeno per quanto riguarda la trilogia di Luke; dunque l'esito non è tragico, i pericoli sono solo sfiorati. Ma egualmente lo sgomento che suscitano è grande, perché rinviano proprio al tema centrale della tragedia.
Il segno del tragico sta, nel caso di Edipo e anche di Luke, nel doppio squilibrio di parentela. La polarità strutturale è:
sopravvalutazione della parentela / sottovalutazione della parentela (si veda lo studio fondamentale Antropologia strutturale di Levi-Strauss)
1. rapporti troppo intimi tra parenti: Luke / Leia — senza esserne coscienti: dei personaggi tragici è caratteristica l'ignoranza della realtà, mentre essi si fanno "automi del mitologema", seguono cioè inconsapevolmente uno schema ancestrale. Nel caso di Luke e Leia c'è il rischio concreto dell'incesto, che in una delle prime versioni era più esplicito; variante rispetto al mito di Edipo è la sorella gemella invece della madre, ma lo schema resta valido.
2. il momento speculare al primo è la stessa relazione ma di segno opposto, cioè rapporti troppo ostili tra parenti: il conflitto Luke / Vader — di nuovo senza averne consapevolezza. Nel caso di Edipo c'è l'uccisione effettiva del padre; per Luke, anche qui, c'è solo il rischio.
Per Luke i due pericoli sono solo sfiorati: egli non uccide Vader né si unisce a Leia, benché vada piuttosto vicino a entrambi i poli dello squilibrio di parentela tragico. Entrambi li sfiora ne l'Impero colpisce ancora, dove è vestito di grigio e appare confuso e smarrito in perfetto stile tragico (all'improvviso ripensiamo con un sorriso alle affannose quanto velleitarie ambizioni "culturali" dei fan di Star Trek).
Luke è un eroe tragico… senza esserlo fino in fondo. Star Wars non è una tragedia, non a caso, ma un'epopea con temi tragici; il che è profondamente diverso.
Le differenze dal mito di Edipo sono grandi, ma anche le somiglianze non sono trascurabili.
La principale, radicale differenza tra il clima tragico e la storia di Luke all'interno dell'epopea lucasiana sta nella sovrapposizione di un codice etico che rimanda a uno stadio più moderno di quello della tragedia classica, codice etico che parla con chiarezza di bene e di male; ma che, beninteso, non scalfisce quei nuclei tragici che abbiamo analizzato, come dimostra l'incertezza del tentativo di giudicare e spiegare e finanche razionalizzare eticamente l'oscuro meccanismo della vicenda tragica di Luke. Essa conserva nonostante tutto la sua antica aura di mistero inspiegato e inspiegabile.
(segue)
pagina seguente (2): Anakin
Note:
(1) Osservazioni di Chiara Marino.
(2) La circolarità della vendetta pone il punto fermo del non ritorno. Essa chiude definitivamente, senza lasciare spiragli, la porta del "possibile". E' quindi una visione tragica del mondo. Il perdono, al contrario, si nutre di potenzialità, in quanto spalanca la porta ad ogni "possibile": ci sarà sempre l'occasione di ravvedimento nel responsabile di un'azione che dovrebbe/potrebbe essere lavata nel sangue. Visione moderna, questa, basata sulla linearità della trasformazione (Nd Chiara Marino).
(3) Osservazioni di Chiara Marino.
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